Árok mellett üszkös a fadereka, üszkös a fadereka, kikorhadt. Felhő-cápa úszik az egeken át, űzi a hegyeken át a holdat. Egyszer égig fölmásznék, mennyi cápát horgásznék. Föl ne mássz, mert üszkös a fadereka, üszkös a fadereka, kikorhadt
Vediamo cosa riesco a capire dopo aver mangiato, considerando che il parto dal riconoscere (forse) mellett, mert, hold, un verbo in -ik, un nominativo e un accusativo di cápa, un egy nascosto in una parola composta e ben due inessivi.
Allora, si diceva. Sono superessivi, piuttosto. Il risultato - ahimè - non cambia molto.
Allora, solo ad intuito (prendo tempo).
Bon.
Vado.
Accanto ad un fosso il tronco è marcio, il tronco è marcio, è marcito. Lo squalo-nuvola nuota nel cielo, insegue la luna sulle colline. Una volta si è arrampicato tanto da pescare lo squalo. Non salire, perché il tronco è marcio, il tronco è marcio, è marcito.
L'unica consolazione è che "úszik az egeken át, űzi a hegyeken át", declamati ad alta voce, fanno un bellissimo effetto anche col mio accento, credimi.
Brava! Quanto lontana già da quelle quattro parole! Che cosa mangi dopo cui subito si capisce tanto? Lingua di tordo, come nella favola, per intendere la lingua dei animali?
Solo una piccola correzione: “una volta arrampicherei fino al cielo, quanti squali pescherei!” Il “fino al cielo” è importante perché contrasta ironicamente con la limitata scala di Giacobbe che sarebbe il tronco marcito.
Weöres Sándor amava molto questa forma di poema prestita dai canzoni popolari. C’è un altro, conosciuto per tutti i bambini da quando il gruppo Kaláka lo ha cantato:
Galagonya
Őszi éjjel Izzik a galagonya, Izzik a galagonya Ruhája. Zúg a tüske, Szél szalad ide-oda, Reszket a galagonya Magába. Hogyha a hold rá Fátylat ereszt: Lánnyá válik, Sírni kezd. Őszi éjjel Izzik a galagonya, Izzik a galagonya Ruhája.
Di fronte alla mia finestra c’è il bosco, e vicino al nostro giardino c’è un alberello di galagonya. E ormai da tanti anni posso osservare quanto è vero che d’autunno, non solo di notte ma anche di giorno, si arroventa il vestito del biancospino.
Weöres Sándor: Nuvola ungherese
RispondiEliminaÁrok mellett
üszkös a fadereka,
üszkös a fadereka,
kikorhadt.
Felhő-cápa
úszik az egeken át,
űzi a hegyeken át
a holdat.
Egyszer égig
fölmásznék,
mennyi cápát
horgásznék.
Föl ne mássz, mert
üszkös a fadereka,
üszkös a fadereka,
kikorhadt
Vediamo cosa riesco a capire dopo aver mangiato, considerando che il parto dal riconoscere (forse) mellett, mert, hold, un verbo in -ik, un nominativo e un accusativo di cápa, un egy nascosto in una parola composta e ben due inessivi.
RispondiEliminaE considerando anche che ho inserito un inutile "il" tra "che" e "parto".
RispondiEliminaAllora, si diceva. Sono superessivi, piuttosto. Il risultato - ahimè - non cambia molto.
RispondiEliminaAllora, solo ad intuito (prendo tempo).
Bon.
Vado.
Accanto ad un fosso il tronco è marcio, il tronco è marcio, è marcito. Lo squalo-nuvola nuota nel cielo, insegue la luna
sulle colline. Una volta si è arrampicato tanto da pescare lo squalo.
Non salire, perché il tronco è marcio, il tronco è marcio, è marcito.
L'unica consolazione è che "úszik az egeken át, űzi a hegyeken át", declamati ad alta voce, fanno un bellissimo effetto anche col mio accento, credimi.
Brava! Quanto lontana già da quelle quattro parole! Che cosa mangi dopo cui subito si capisce tanto? Lingua di tordo, come nella favola, per intendere la lingua dei animali?
RispondiEliminaSolo una piccola correzione: “una volta arrampicherei fino al cielo, quanti squali pescherei!” Il “fino al cielo” è importante perché contrasta ironicamente con la limitata scala di Giacobbe che sarebbe il tronco marcito.
Weöres Sándor amava molto questa forma di poema prestita dai canzoni popolari. C’è un altro, conosciuto per tutti i bambini da quando il gruppo Kaláka lo ha cantato:
RispondiEliminaGalagonya
Őszi éjjel
Izzik a galagonya,
Izzik a galagonya
Ruhája.
Zúg a tüske,
Szél szalad ide-oda,
Reszket a galagonya
Magába.
Hogyha a hold rá
Fátylat ereszt:
Lánnyá válik,
Sírni kezd.
Őszi éjjel
Izzik a galagonya,
Izzik a galagonya
Ruhája.
Di fronte alla mia finestra c’è il bosco, e vicino al nostro giardino c’è un alberello di galagonya. E ormai da tanti anni posso osservare quanto è vero che d’autunno, non solo di notte ma anche di giorno, si arroventa il vestito del biancospino.
Una punta di lingua di tordo, visti i pezzi persi per strada.
RispondiEliminaMe la sono andata subito a sentire su youtube (più volte): è bellissima. Grazie.