domenica 27 febbraio 2011

Silenzio

Basta, mi fermo. Continuare a lasciare traccia di poesia, musica e parole e di quel poco d'altro che mi riesce facendo finta che nel Paese dove si parla la lingua in cui qui mi esprimo non stia succedendo niente o niente di grave mi è diventato impossibile e veramente troppo grande lo sforzo per continuare a non nominare mai Silvio Berlusconi, la sua corte, i suoi recidivi elettori e tutti i potenti che, tacendo, non gli fanno mancare l'appoggio, seppure indiretto, nella consapevolezza che, se lo nominassi, niente potrei aggiungere al già noto. I fatti sono notissimi, accessibili e visibili a tutti coloro che li vogliano e sappiano leggere e vedere.

In questo momento, tra la possibilità di ignorare, in questo spazio, quello che sta accadendo e la possibilità di estrinsecare o di sublimare i miei sentimenti ed i miei pensieri in altro modo in misura proporzionale a quanto tutto ciò mi occupa, scelgo il silenzio. L'attacco alla scuola pubblica, così diretto da sembrare la confessione più aperta dei suoi disegni, è gravissimo. Colpisce, in una sola volta, semplicemente tutto quello in cui credo e tutto quello che sono.

Sono quello che sono anche perché sono nata in Italia, per quanto in una sua appendice di frontiera, che italiana è diventata per caso e malamente. Sono quello che sono anche perché ho frequentato la scuola pubblica italiana(1), a cui sarò sempre debitrice, e senza la quale la democrazia perderebbe ogni residuo significato, facendo svanire del tutto la speranza in generazioni migliori della mia. Sono quello che sono anche perché non mi accontento della democrazia di facciata, svuotata nei suoi contenuti e privata delle sue regole di base. Sono quello che sono anche perché credo nell'accoglienza dello straniero e nel rispetto delle minoranze, tutte. Sono quello che sono anche perché credo che non abbia alcuna autorità morale chi, come la Chiesa cattolica, si astenga dal condannare Silvio Berlusconi in cambio della promessa, da parte di questi, di impedire il riconoscimento di pieni diritti agli omosessuali. Sono quello che sono anche perché mi sono presentata ovunque in quanto Francesca, senza reti o appoggi di qualsiasi tipo, solo con le mie capacità e le mie incapacità. Sono quello che sono anche perché ci ho provato a sufficienza, in Italia, spostandomi ovunque e incassando ovunque sberle quotidiane, tipo quella di chi mi ha concesso l'onore di un colloquio di lavoro il cui unico scopo, scoprii alla fine, era quello di vedere in carne ed ossa un ingegnere donna o di chi non investiva in ricerca e conoscenza o di chi non voleva saperne di operai iscritti al sindacato o di chi non rispettava le più elementari norme di sicurezza ed ambientali o di chi mi pagava in misura tale da coprire a stento un affitto di uno squallidissimo monolocale che costava allora più di certi affitti concessi dalla Baggina, a tutt'oggi, a gente che non ne avrebbe il minimo bisogno. Sono quello che sono anche perché il mio primo contratto di lavoro a tempo indeterminato e il mio primo stipendio commisurato alle mie capacità e potenzialità e al costo della vita li ho trovati in Germania, da perfetta sconosciuta, per di più con una allora rudimentale conoscenza della lingua locale. Sono quello che sono anche perché credo che non tutto sia in vendita e men che meno le persone, giovani donne o giudici o avvocati o giornalisti o deputati che siano. Sono quello che sono anche perché credo che l'ironia sia importante, ma non possa niente rispetto ad una realtà che urla giustizia ogni giorno e la cui condizione di ingiustizia solo per puro caso non ha ancora innescato atti di violenza e rispetto ad un presidente del consiglio dei ministri, altrove ineleggibile ab ovo, che non solo disprezza la democrazia (qui è in buona compagnia), ma che continua a ridere e a raccontare barzellette idiote (questo è il suo tristo marchio esclusivo). Sono quello che sono anche perché non temo, con queste mie parole, di finire nel ridicolo.

Mi fermo finché Silvio Berlusconi non si sarà dimesso e non si sarà sottoposto ai processi nei quali è imputato, almeno a quelli che non è riuscito ancora ad annichilire a colpi di prescrizioni ottenute per decreto. Non sarà la soluzione di tutti i problemi, ma sarà un buon inizio. 

Non mi aspetto niente da questo mio gesto, individuale e del tutto minore, sproporzionatamente minore e incongruo rispetto alla realtà dei fatti e chiaramente fuori bersaglio. È solo il mio ultimo modo di dire basta, proprio l'ultimo a mia disposizione, avendo già esaurito tutti gli altri modi ben prima di oggi e visto che hanno pensato di togliermi non solo il diritto di voto, se penso che alle ultime elezioni politiche hanno probabilmente buttato via o alterato la mia scheda elettorale(2), ma forse anche la speranza. 

Basta, mi fermo. Silenzio.


(1) "Libertà vuol dire avere la possibilità di educare i propri figli liberamente, e liberamente vuol dire non essere costretti a mandarli in una scuola di Stato, dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare principi che sono il contrario di quelli dei genitori."

Silvio Berlusconi, 26 febbraio 2011

(2) Dalle intercettazioni emerge anche che Di Girolamo si è recato in Germania assieme agli esponenti della cosca Arena della famiglia di Isola Capo Rizzuto per procurare voti come scrive il gip "avvalendosi della capacità di intimidazione e dell’operatività della cosca mafiosa reperivano voti presso gli immigrati calabresi in particolare nel distretto di Stoccarda e Francoforte. Dove grazie al supporto del mafioso Franco Pugliese, riciclatore dei beni della famiglia Arena difesa dall’avvocato Colosimo ora latitante, reperivano le schede elettorali in bianco inviate agli elettori residenti all’estero provvedendo al riempimento inserendovi abusivamente il nominativo Di Girolamo Nicola Paolo".

Il Fatto quotidiano, 24 febbraio 2010


*

P.S.
Quello che non emerge, quando il Pd raccoglie dieci milioni di firme o quando giornali come La Repubblica o L'Unità pubblicano i loro periodici inviti ai lettori ad inviare firme o espressioni di protesta in forma di pensierini o di foto contro i fatti del giorno, anche volendo tralasciarne la discutibile modalità, è che non è oggi che ci si deve indignare: oggi è ogni giorno sempre più tardi per farlo e farlo è un continuare a scaricare sugli altri le proprie personali, individuali responsabilità, piccole o irrisorie che siano, che ci sono sempre, se non altro per non aver fatto abbastanza per contribuire ad un possibile cambiamento. L'immagine che diamo all'estero, di cui molto si tende a parlare, non può essere la molla della ribellione o del riscatto e tanto meno il nostro metro di misura: se ci preoccupiamo tanto dell'immagine all'estero, ci riduciamo ad usare gli stessi parametri dell'Italia che molti di noi non vogliono (e poi nessuno, all'estero, proprio nessuno, ha una statura tale da ergersi a giudice in grado di puntare il dito contro di noi o la nostra storia, che tra l'altro conoscono - e conosciamo - parzialmente e male). Quello che ogni giorno aumenta, accumulandosi su uno strato già ben sedimentato, e di cui nessuno sembra volere farsi seriamente carico, è l'umiliazione, che non ha niente a che vedere con quella eventualmente derivante dai giudizi altrui, ma piuttosto con quella che a me sembra così lampante se siamo noi stessi a guardarci bene e a fondo. Aumenta anche la fatica nel trovare, nella storia del nostro Paese fino al suo presente, la continuità di un fil rouge del fare le cose e del farle bene, con onestà e dignità, il filo rosso che dia spazio alla speranza insomma, un filo che, dopo il Rinascimento, si è spezzato troppe volte e si è lasciato intravvedere a tratti sempre più brevi e sottili, fino a scomparire quasi del tutto dopo la Resistenza. Alcune trame del filo si possono vedere ancora: sono certe piazze di paese, dei paesaggi in cui si intravvede la mano dell'uomo discreta e rispettosa del territorio, degli antichi argini di fiumi, le geometrie di alcuni tetti, certi piccoli attrezzi od oggetti di artigianato, molte musiche, molti sapori e profumi, e moltissime persone che operano anonimamente, senza clamore. Altre trame sembrano del tutto sommerse, come i rari - ma preziosissimi - momenti di rivolta del popolo minuto e minutissimo e i pensieri di molti uomini passati. Tra questi ultimi, per me, non pochi pensieri di Leopardi. Ne ho trovato ora una lettera che, sebbene non possa e non debba cancellare tutto il resto, dire deludente e mortificante è dire poco. Tuttavia, se non ci si confronta prima di tutto con i propri errori in senso ampio, inclusi gli errori di coloro che fanno parte della propria storia, o quanto meno della parte più affine, non si può neanche cominciare a pensare di cambiare alcunché, ed è per questo che riporto la sua lettera.
Eminentissimo Principe. Incoraggiato dai luminosi esempi di sua generosa benevolenza verso quei sudditi Pontificii che in qualche modo si affaticano per li progressi de' buoni studi, supplico l'Eminenza Vostra Reverendissima a rivolgere anche sopra di me i suoi benefici sguardi.
Essendomi finora applicato alle lingue classiche e a quelle materie che più direttamente dipendono dalle medesime ho pur troppo conosciuto che dovrei rinunziare a ogni speranza di ulteriori avanzamenti se continuassi a vivere in Recanati mia patria.
D'altronde mio padre aggravato di prole, e per le passate vicende attenuato di rendite, non ha mezzi di mantenermi in altro luogo dove la Società d'uomini di Lettere, e il soccorso de' libri possano confezionare le mie deboli cognizioni.
Sarebbe pertanto mia fervida brama di giungere a questo scopo coll'esercizio di qualche impiego amministrativo, nel quale servendo fedelmente lo Stato, avessi il modo di servire ancora, secondo le mie scarse forze, all'incremento di quelle scienze a cui mi sono dedicato.
Veggo che niun impiego potrebb'essere più confacente alle mie mire e alle mie ristrette capacità che quello di Cancelliere del Censo in qualche importante Capoluogo di Delegazione. E se attualmente non ve n'ha alcuno vacante, non manca certamente all'Eminenza Vostra Reverendissima il modo di supplire a ciò, conferendo ad alcuno degli attuali Cancellieri del Censo qualche equivalente impiego che fosse ora vacante o per vacare.
Supplico l'Eminenza Vostra a perdonare colla sua tanto acclamata bontà il mio ardire, ed attribuirlo alla fiducia che m'ispira il suo gran cuore, permettendomi intanto di segnarmi con profonda venerazione e gratitudine di Vostra Eminenza Reverendissima umilissimo, devotissimo, obbligatissimo Servitore.
Lettera di Giacomo Leopardi al cardinal Consalvi, 1823. Tratta da Ermanno Rea, La fabbrica dell'obbedienza. Il lato oscuro e complice degli italiani, Feltrinelli, 2011

Dizionario di tutte 'e cose - B come Battiti

Giovanni Ambrogio Dalza, Saltarello e Piva, XVI secolo, da "Frottole", Accordone, Marco Beasley e Guido Morini

giovedì 24 febbraio 2011

In stella notturna

Nach so langer Erfahrung sei "Haus",
"Baum" oder "Brücke" anders gewagt.
Immer dem Schicksal eingesagt,
sag es sich endlich aus.

Daß wir das tägliche Wesen entwirrn,
das jeder anders erfuhr,
machen wir uns ein Nachtgestirn
aus der gewussten Figur.

Muzot, Mitte August 1924
Rainer Maria Rilke


Molte parole, scritte e dette, indurrebbero a pensare che sappiamo tutto (anche se fuori dalla finestra i risultati non sono esattamente all'altezza). Allora, se trascuriamo per un attimo i risultati (ci riesce facile), se davvero sappiamo tutto, si osi altrimenti "casa","albero" o "ponte". E se il dire è sempre affidato al destino, lo si dica finalmente chiaro. Per districare l'essere quotidiano, che ognuno, a modo suo, ha conosciuto, sarebbe ora che trasformassimo in stella notturna la figura che sappiamo.
Parigi, fine febbraio 2011

mercoledì 23 febbraio 2011

Canta la ninna nanna, ninni

My little sweet darling, Anonimo, Inghilterra, ca 1600
Montserrat Figueras, Hespèrion XXI, Jordi Savall

My little sweet darling, my comfort and joy,
(Sing lullaby, lully!)
In beauty surpassing the princes of Troy,
(Sing lullaby, lully!)
Now suck, child, and sleep, child, thy mother's sweet boy,
(Sing lullaby, lully!)
The gods bless and keep thee from cruel annoy.
(Sing lullaby, lully!)
Sweet baby, lully, lully, lully, lully!

domenica 20 febbraio 2011

Superman, Robin e Tarzan (l'ultimo filo di speranza è l'Uomo Ragno)

Clark Kent, naked

They found him in a phone booth, huddled,
frail as a foetus, shivering in the cold.
The problem, he said, was that when he began
to take off his clothes for the usual transformation,
the blue and red suit with the yellow "S"
emblazoned across the front, just wasn't there.
He couldn't believe it, he said, and kept disrobing
when he was assaulted by a transient who took the pile of clothes.
He insisted that no one tell Lois as they led him away
covered by a wool blanket, babbling incoherently
to the air in front of him, remembering how things used to be.

Fred Moramarco


Clark Kent, nudo

Lo hanno trovato in una cabina telefonica, spaesato,
gracile come un feto, tremante dal freddo.
Il problema, ha detto, era che quando aveva iniziato
a togliersi i vestiti per la consueta trasformazione,
il costume blu e rosso con la "S" gialla
che ornava il petto proprio non c'era.
Non ci poteva credere, ha detto, e ha continuato a svestirsi
quando è stato aggredito da un passante che gli ha sottratto la pila di vestiti.
Insisteva di non dirlo a Lois mentre lo portavano via
coperto da un mantello di lana, farfugliando incoerentemente
all'aria di fronte a lui, ricordando come andavano un tempo le cose.


*

Kid

Batman, big shot, when you gave the order
to grow up, then let me loose to wander
leeward, freely through the wild blue yonder
as you liked to say, or ditched me, rather,
in the gutter ... well, I turned the corner.
Now I've scotched that 'he was like a father
to me' rumour, sacked it, blown the cover
on that 'he was like an elder brother'
story, let the cat out on that caper
with the married woman, how you took her
downtown on expenses in the motor.
Holy robin-redbreast-nest-egg-shocker!
Holy roll-me-over-in the-clover,
I'm not playing ball boy any longer
Batman, now I've doffed that off-the-shoulder
Sherwood-Forest-green and scarlet number
for a pair of jeans and crew-neck jumper;
now I'm taller, harder, stronger, older.
Batman, it makes a marvellous picture:
you without a shadow, stewing over
chicken giblets in the pressure cooker,
next to nothing in the walk-in larder,
punching the palm of your hand all winter,
you baby, now I'm the real boy wonder.

Simon Armitage


Ragazzino

Batman, bel colpo, quando mi hai ordinato
di crescere per poi lasciarmi libero di vagare
sottovento, liberamente nel selvaggio blu più oltre
come ti piaceva dire, o scaricato, piuttosto,
sulla strada ... ebbene, ho svoltato l'angolo.
Ora ho soffocato quella voce 'era come un padre
per me', le ho dato il benservito, ho fatto anche saltare
la storiella che diceva 'era come un fratello maggiore',
ho sparso in cambio la voce su quell'affare
con la donna sposata, ho detto come l'hai portata in giro
giù in centro a spese della ditta.
Ah robin-pettirosso-nido-uovo-provocatore!
Ah fatemi rotolare nella gloria,
Non gioco più al raccattapalle
Batman, ora mi tolgo dalle spalle quello svolazzante
vestitino verde foresta di Sherwood e quel rosso scarlatto
per mettermi un paio di jeans e una maglia a girocollo;
ora sì che sono più alto, più resistente, più forte, più adulto.
Batman, è davvero un bel quadretto:
tu senza la tua ombra, tu che cuoci lentamente
frattaglie di pollo nella pentola a pressione,
tu senza quasi più niente nella grande dispensa,
tu che ti dai pugni sul palmo della mano per tutto l'inverno,
tu, piccolo, ora sono io il vero ragazzo meraviglia.


*


Tarzán y el paraíso perdido


Tarzán (Johnny Weissmuller) es internado en un manicomio por creerse Tarzán.

Su grito, que asusta a médicos y enfermeras, no es el clarín con el que hacia su victoriosa aparición en la pantalla.
El grito a Tarzán no le pertenece.
Fue un collage de sonidos confeccionado y patentado por la Warner Brothers: decantaron en el laboratorio los gruñidos de un cerdo y las notas de un tenor.

Tarzán en el sanatorio para artistas (retirados) de Hollywood,
abatido y vencido por la camisa de fuerza (él que encarnó la fuerza sin necesidad de camisa).
Hoy casi a oscuras y ayer mimado por los reflectores.
Tarzán víctima de una dolencia cardiaca se toca el corazón y piensa en Jane.
Desamparado llama en su desesperación a Chita (entre sombras ve y besa a Chita como si fuera su madre.
Chita se limpia la boca, hace morisquetas y dando volatines desaparece),
llama a Chita para que lleve un recado pidiéndole ayuda a Jane.

Pero Chita no podrá acudir. Chita no existió en la vida real.
(Eran ocho monas chimpancé, ocho monas que parieron su estampa cinematográfica).

Y Jane,
la bella silvestre de los níveos brazos,
ya no lucirá más su silueta junto a Tarzán,
porque Jane ya no filma.
Hace mucho tiempo que se le venció el contrato con la Warner: las piernas de Jane ya no están todo lo tersas que uno quisiera para hacerlas figurar en el reparto.

(Ah, Jane, paraíso perdido, divino tesoro,
ya te vas (para no volver),
cuando quiero llorar pienso en ti, mi dulce Jane.
Cuánto hubiera dado por tenerte en mis brazos, por confesarte mi amor: Yo querer mucho a Jane.
Silencio insensato que guarde por culpa de mi testaruda timidez.
Por culpa de los barritos de mi precoz adolescencia.

Ah, Jane, ya no adoro tus senos besados por las lianas.
Tus senos asediados al centímetro por flechas y lanzas.
Ya no adoro tu rostro que el tiempo implacable ha ido modelando a su capricho.
Tu rostro que acaricié con ternura (a escondidas del público) en todas las carteleras.

Que no me digan nunca que te quitaste el maquillaje.
Que no me enseñen nunca tus cabellos de desfalleciente plata.
Para mi tú serás siempre la linda muchacha que yo amé matalascallando,
que yo ayudé a inventar con mis ensueños en los destartalados cines de mi barrio, mi inolvidable Jane).

En su cuarto Tarzán da vueltas como condenado y en su rayado papel de loco repara en el espejo del lavabo y quisiera lanzarse.
Tarzán varias veces campeón olímpico de natación.
Amor, juventud y dinero, la veleidosa gloria:
todo desde el trampolín se le fue al agua.
Todo se lo devoraron con voracidad las fieras.

Entre paredes pálidas que su insomnio decora de enredaderas por sentirse libre (al final de la película) se aferra a sus sueños:
se sueña sobre el lomo de sus elefantes y sonríe.
Se sueña venciendo a sus repujados cocodrilos de cartón.
Ve acercarse a sus leones de felpa (pura melena) y Tarzán siente miedo y tiembla y grita como un desventurado niño de pecho:
Aaauaúaaa...! Aaauaúaaa...!

Pobre Tarzán indefenso y desnudo,
descolgado del ecran por inservible,
loco, completamente solo entre los locos,
aullando perdido en su paraíso perdido,
sin Jane, sin chita, sin fuerzas, sin grito,
solo con su soledad y sus taparrabos.

Poema dedicado a Mario Benedetti

Arturo Corcuera, Puerto de la memoria, Noceva 2001


Tarzan e il paradiso perduto

Aaauauaaa...!Aaauauaaa...!

Tarzan (Johnny Weissmuller) è internato in un manicomio perché si crede Tarzan.

Il suo urlo, che fa paura a medici ed infermiere, non è il clarinetto con cui faceva la sua vittoriosa apparizione sullo schermo.
L'urlo non appartiene a Tarzan.
Era un collage di suoni confezionato e brevettato dalla Warner Brothers: riversarono in laboratorio i grugniti di un maiale e le note di un tenore.

Tarzan nel sanatorio per artisti (in pensione) di Hollywood,
abbattuto e vinto con la camicia di forza (lui che incarnò la forza senza bisogno di camicia).
Oggi quasi al buio e ieri viziato dai riflettori.
Tarzan vittima di una disfunzione cardiaca si tocca il cuore e pensa a Jane.
Abbandonato, chiama nella sua disperazione Cita (tra ombre vede e bacia Cita come se fosse sua madre.
Cita si pulisce la bocca, fa delle smorfie e sparisce facendo acrobazie),
chiama Cita perché porti un messaggio di richiesta di aiuto a Jane.

Ma Cita non può accorrere. Cita non è esistita nella vita reale.
(Erano otto scimpanzè femmine, otto femmine che apparirono sulla stampa cinematografica).

E Jane,
la bella silvestre dalle braccia candide,
non risplenderà mai più nella sua silhouette assieme a Tarzan,
perché Jane non fa più film.
Molto tempo fa ottenne il contratto con la Warner: le gambe di Jane non sono più lisce come uno vorrebbe per farle vedere nel cast.

(Ah, Jane, paradiso perduto, divino tesoro,
già te ne vai (per non tornare),
quando voglio piangere penso a te, mia dolce Jane.
Quanto avrei dato per tenerti nelle mie braccia, per confessarti il mio amore: io amare molto Jane.
Silenzio insensato che mantengo per colpa della timidezza testarda.
Per colpa dell'acne delle mia precoce adolescenza.

Ah, Jane, ora non mi piace che i tuoi seni siano baciati dalle liane.
I tuoi seni assediati al centimetro da frecce e lance.
Ora non mi piace il tuo volto che il tempo implacabile è andato modellando secondo il suo capriccio.
Il tuo volto che accarezzavo con dolcezza (all'insaputa del pubblico) in tutti i cartelloni.

Che non mi dicano mai che ti toglievi il trucco.
Che non mi mostrino mai i tuoi capelli di argento evanescente.
Per me sarai sempre la bella ragazza che ho amato in segreto,
che ho aiutato ad inventare con le mie illusioni nei cinema cadenti del mio quartiere, mia indimenticabile Jane)

Nella sua stanza Tarzan gira come un condannato e nel suo ruolo da matto si riflette nello specchio del lavandino e vorrebbe tuffarsi.
Tarzan pluricampione olimpico di nuoto.
Amore, gioventù e denaro, la gloria mutevole:
tutto dal trampolino cadde in acqua
Tutto se lo divorarono con voracità gli animali.

Tra pareti pallide che la sua insonnia decora di rampicanti per sentirsi libero (nel finale del film) si afferra ai suoi sogni:
si sogna della groppa dei suoi elefanti e sorride.
Si sogna di vincere i suoi coccodrilli sagomati di cartone.
Vede avvicinarsi i suoi leoni di stoffa (pura criniera) e Tarzan prova paura e trema e grida come uno sventurato ragazzo dal petto:
Aaauauaaa...! Aaauauaaa...!

Povero Tarzan indifeso e nudo
staccato dallo schermo perché inservibile,
matto, completamente solo tra i matti,
che ulula perduto nel suo paradiso perduto,
senza Jane, senza Cita, senza forze, senza urlo,
solo con la sua solitudine e i suoi perizoma.

Poesia dedicata a Mario Benedetti

sabato 19 febbraio 2011

Dizionario di tutte 'e cose - P come Palesemente

A Innocenzio succedette Roderigo Borgia di patria Valenziano, una delle città regie di Spagna, antico cardinale e de' maggiori della corte di Roma, ma assunto al pontificato per le discordie, che erano tra i cardinali Ascanio Sforza, e Giuliano di San Piero in Vincola, e molto più perché, con esempio nuovo di quell'età, comperò palesemente, parte con danari, parte con promesse degli ufizj e benefizj suoi, che erano amplissimi, molti voti di cardinali.

Francesco Guicciardini, Storia d'Italia

venerdì 18 febbraio 2011

Salite su in barchetta, signori passaggieri

Vincent Dumestre, Le poème harmonique, Il fasolo?, Giovanni Battista Fasolo?, Francesco Mannelli?, Bergamasca "La barchetta passaggiera", da "Misticanza di vigna alla bermagasca", Roma, 1627

Patrone della barca
Salite su in barchetta,
Signori passaggieri,
Ch'el bon vento ci aspetta
Già fin dall'altro jeri,
Olà a noi:
Reggi il timon, Zanetto,
Scarpin, tira la scotta;
Scatozza, alza 'l trinchetto,
Ohimè, la fiasca è rotta.

Lombardo
Mo mi gh son prest' saltad
Ve tragh' il bon giorn' assai
E ve port carn salad'
La busecca co'l formai,
Olà a noi...

Todesco
Mi star bon compagnon'
Portar gnocch' e maccaron'
E boracchia de vin bon
Per far vele a Mont Fiascon,
Olà a noi...

Napolitano
Stipame 'sto pignatto
De piettorina e vuroccoli
Si s'arrasa lu gatto
Schiaffali chissi zuoccoli,
Olà a noi...

Toscano
Ci porto due frittate
D'un ovo fresco e bello
E di carne tre onciate
La salsa e 'l pescitello,
Olà a noi...

Francese
Je porte le potage
Le jambon et le fasain
Bouion avec le formage
Touche-moi les belles mains,
Olà a noi...

Spagnolo
Los puercos assados
Nò val nada, mas faves
Ravaniglios, y pescados
Fan lindo y muy biengraes,
Olà a noi....

Genovese
Fenoggi e pesci sarè
Un'amora de bon vin
Gattafura pur assè
Mi ghe porto e drozemin,
Olà a noi...

Patrone della barca ai marinai:
Trafughiam con modo bello
Al francese lo gambone
Al spagnolo il ravanello
Al todesco lo fiascone,
Lo pignatto allo Coviello
Al lombardo la busecca
Al toscano il pescitello
E sen stian a bocca secca,
Olà a noi...

Tutti:
O l' gatt robba li formai,
Scarpin lassa ssi vuroccoli
Zanettin non busticai
Diam di man a zoccoli.
I n'a puint' de descretion,
Tomagli la cavezza
Mi me basta lo fiascon'
Ohimè 'l boccal si spezza.
Olà a noi
Finiamo la canzone.
Vogate marinai,
Menat'i remi pari
E giocate di timone.


The boat owner
Get into the little boat,
Passengers all,
For good wind waits for us
Since yesterday already.
Hey to us:
Take the helm, Zanetto,
Scarpin, let out the sheet,
Scatozza, hoist the foresail.
Oh, the flask has broken.

The Lombard
I who boarded so quickly,
I wish you good day
And I bring you dried meat,
Tripe with cheese.
Hey, to us...

The German
I be a good companion
bring gnocchi and maccheroni,
And flasks of good wine
for our trip to Monte Fiascone.
Hey, to us...

The Neapolitan
Put the lid on this pot
Of bacon and broccoli
If the cat comes closer
Throw those clogs at him.
Hey, to us...

The Tuscan
I bring two omelettes
Made with good fresh eggs
And three ounces of meat
Sauce and small fry,
Hey, to us...

The Frenchman
I bring the soup
The ham and the pheasant
The broth with cheese
Touch my soft hands,
Hey, to us...

The Spaniard
The roast pigs are worthless
But the broad beans
Radishes and fish
Are good and fat.
Hey, to us...

The Genoese
I bring fennel and salted fish
And a very good wine
And enough grated cheese
And spices,
Hey, to us...

The boat owner to the sailors
Let's take it away nicely:
From the Frenchman, the ham,
From the Spaniard, the radish,
From the German, the big flask,
The pot from Coviello,
From the Lombard, the tripe
From the Tuscan, the small fry
Let's keep their throats dry,
Hey, to us...

Everybody
Oh, the cat has stolen the cheese,
Scarpin leave those broccoli
Zanettin, don't chew
Let's throw those clogs
He has no discretion
Grab him by the head
I just need the big flask
Oh, the tankard is broken.
Hey, to us
Let's finish the song
Sail, sailors,
Row together
And use the rudder.

Some errors are integral part of the original version and of its beauty.

giovedì 17 febbraio 2011

Dopo una lunga pausa

Mi piace leggere i quotidiani e anche andare a rileggerne di vecchi, esattamente come faccio con i vecchi libri. Per ricordare, per cercare di trovare spiegazioni al percorso che stiamo facendo, per leggere nel modo più critico possibile quelli attuali.

Tra i giornali che leggo regolarmente, sono tornati a comparire con assiduità i giornali italiani. Ne ho ripreso la lettura regolare dopo una lunga pausa che mi ero presa dall'Italia, che ho lasciato nel 2005 (fisicamente; con la testa chissà da quando) e che, principalmente per immergermi totalmente nella nuova realtà, tedesca, per un buon anno ho, se non quasi completamente trascurato, quanto meno guardato con distacco, un po' perché avevo ripreso a respirare normalmente e volevo continuare a farlo, un po' perché, per necessità e voglia di apprendere in fretta la nuova lingua e per curiosità entusiastica verso il nuovo mondo, mi bombardavo quotidianamente esclusivamente di radio, televisione (che poi, dopo un suo utilizzo à l'albanaise(*), ho smesso del tutto di guardare), film, teatro, giornali e libri tedeschi. Dopo il primo anno ci sono state delle lente, graduali fasi di avvicinamento perché il distacco iniziale era arrivato ad un punto tale, se non da rinnegare, almeno da compromettere una parte importante di me, con cui devo pur fare i conti, e ancora, alternate alle prime, delle fasi di allontanamento dovute al ritrovare immancabilmente nel mio Paese d'origine, ogni volta che vi rivolgessi lo sguardo, i comportamenti, le smemoratezze, le carenze e i vizi che trovavo e trovo inaccettabili. Così, l'esperienza che inizialmente, non senza un certo vezzo, ed in modo per niente originale, avevo definito dispatrio (richiamandomi a Meneghello), col tempo si è trasformata in qualcosa che non so definire ancora, tanto che non ha più nemmeno un nome: quel che è certo è che non è né un espatrio né un dispatrio perché la parola patria nel mio vocabolario non esiste e quindi un mio allontanamento da essa, in qualsiasi forma esso si manifesti, è proprio da escludersi.

Stasera mi sono trovata a leggere dei giornali del biennio 1993-1994, passando per lo sbando della sinistra, per il tripudio della Confindustria di Abete e per i rimproveri ed i moniti di Mitterrand seguiti alla prima vittoria berlusconiana.  In un articolo di fondo di Barbara Spinelli su La Stampa del 5 aprile 1994 intitolato La gente è brutta, la giornalista - che seguo con attenzione e stima da una ventina d'anni, non solo attraverso i giornali - rassicurava coloro che allora si stracciavano le vesti dopo quella vittoria, in ispecie Scalfari, e che ne individuavano i motivi nella storica divisione dell'Italia in bande e nell'atavica mancanza di senso dello Stato e di morale, ricordando loro che una sconfitta alle elezioni in un Paese democratico non è la fine del mondo:

"Come se non potesse accadere più nulla, dopo simile voto: come se non esistessero altre elezioni in futuro, da preparare e da vincere. Come se fossimo entrati in un nuovo regime, per altri cinquant'anni: senza possibilità di ricambio, di alternanza, senza ulteriori occasioni in cui poter giudicare i governanti, per promuoverli o bocciarli. Da un popolo così mostruoso non ci si aspetta più nulla: né capacità di giudizio, né attitudine a cambiare opinione, la prossima volta".

L'articolo si chiudeva ricordando che democrazia è "scommettere sempre di nuovo sul suffragio universale, pur conoscendo le trappole e le mostruosità".

Oggi non siamo arrivati al cinquantennio, ma dal ventennio non siamo in fondo molto distanti.

Da allora, si è parlato e si continua a parlare molto di Berlusconi, e io a riguardo non ho proprio niente di nuovo da aggiungere (si è detto che è diventato un utile idiota per giustificare le nostre magagne?). Si è detto e si continua a dire di tutto anche sui suoi elettori, e qui invece ho una piccola cosa da dire, ed è questa. Per molto tempo, mi sono ripetuta anch'io la litania delle caratteristiche dell'elettorato berlusconiano, della sua dipendenza dalla televisione, del suo pensare con la pancia, dei suoi interessi, persino del suo mutamento antropologico che, non si sa perché, avrebbe completamente risparmiato chi per Berlusconi non ha votato. Poi, però, ai miei occhi è emerso un "resto", forse minimo, forse addirittura marginale, che non rientra nel quadro generale, cui non so dare una spiegazione. Si trova esemplificato ed incarnato in una persona specifica, ma temo - anche se vorrei naturalmente sbagliarmi - che non sia un caso isolato. Può avere la limitatezza della singolarità, ma ha senz'altro il pregio della concretezza: si tratta di mio zio Walter.

Mio zio Walter non è una persona che ragiona con la pancia. Guarda la televisione, quello sì, ma legge anche i giornali, e fa un largo uso anche delle informazioni che circolano in rete. Ha alle spalle una lunga esperienza lavorativa fatta in diverse città d'Italia, ha una famiglia che adora, è cattolico, ha un passato di sinistra, è razionale, si esprime in un italiano corretto, conosce l'uso del congiuntivo, non dice tennologia, e, sopra ogni altra cosa, è una persona onesta. Eppure, dai tempi di Mani Pulite, ha iniziato a covare un vero e proprio rancore nei confronti della magistratura e di chi - per come la vede lui - ha smantellato il suo partito di riferimento da sempre, quello socialista, fino a portarlo all'estinzione. Quando Di Pietro, finita la fase di appoggio popolare incondizionato, a metà degli anni '90 dovette difendersi da una serie di attacchi giudiziari, ricordo che tornava a casa chiedendo a mia zia, prima ancora di dire "come va?", se avessero arrestato Di Pietro, con un lampo negli occhi che prometteva di trasformarsi in sonora risata e sfregamento di mani se mai la risposta fosse stata positiva. La risata gli è rimasta in gola, come si sa, però mio zio Walter prosegue imperterrito nel suo cammino di uomo onesto ed al contempo di elettore berlusconiano, convinto che il suo eletto sia un perseguitato e trovando delle giustificazioni - che ultimamente ignoro nei dettagli, visto che abbiamo difficoltà a confrontarci, dopo un memorabile Natale in cui per un pelo non siamo venuti alle mani - a tutto quello che ben conosciamo, dai non cristallini inizi della fondazione delle sue imprese, all'iscrizione alla P2, alla conquista dello strapotere mediatico, al salvataggio e all'appoggio della destra più retriva, alle quanto meno discutibili frequentazioni, giù giù fino ai grandi annunci intesi a coprire il vuoto legato all'incapacità o alla mancanza di volontà o reale interesse di risolvere i problemi concreti del Paese, allo spregio delle sentenze della Corte Costituzionale e della Costituzione tout court (sovietica, la definì), alle notizie di reato, alla magica trasformazione di potenziali sentenze di condanna in prescrizioni, alla violazione delle regole, all'alterazione delle stesse in barba all'interesse comune per potervi artificialmente rientrare con un tocco taumaturgico, al continuo sottrarsi ai processi, alla compravendita di deputati, allo svuotamento del ruolo del Parlamento e al perenne conflitto istituzionale.

Ecco, mio zio Walter non risponde al ritratto dell'elettore berlusconiano tipo che si ama dipingere, eppure lo ha votato e, se si ricandiderà, lo rivoterà con convinzione. Mio zio Walter non rientra nel quadro, eppure esiste, vive e se la prende ogni giorno, esattamente come me la prendo io, anche se per motivi diversi, per quello che accade in Italia. Non trovo nessun argomento e nessun appiglio per poter solo sperare che lui e chi come lui possano cambiare idea, riconoscere il vulnus, le inopportunità, l'inadeguatezza, le manchevolezze e le vere e proprie colpe di Berlusconi e del suo entourage.

Non mi pare che nessuno, finora, sia in grado di rivolgersi ad una persona come lui e di discuterci, e questa cosa mi preoccupa molto. Ho poi l'ovvia sensazione che l'attuale indignazione sia troppo tardiva, che si disperda e sia solo un fuoco fatuo. Non vedo grandi motivi per ben sperare: le istituzioni italiane hanno dimostrato di non essere sufficientemente robuste da resistere a derive pericolose e agli attacchi che un presidente del consiglio come Berlusconi ha portato e porta allo Stato democratico. È dal 1994 che si lasciano violare "democraticamente", col favore di una parte della società (le violazioni precedenti da parte dei servizi e affini mi sembrano di altra natura) e, se nessuno sarà in grado di rafforzarle, forse in futuro ci saranno delle pause, delle tregue, ma risuccederà ancora, con lui o, per raggiunti limiti d'età, con qualcuno ancora peggio di lui, visti gli strappi istituzionali e legislativi che hanno reso la struttura democratica italiana ancora più debole di quanto non lo fosse già nel 1994. Ma il timore più grande è lo scenario di un dopo Berlusconi seguito da un altro Berlusconi: sua figlia.

(*) Negli anni Novanta, si diceva che gli albanesi che, appena sbarcati in Italia, avevano già una ragguardevole ed encomiabile conoscenza della lingua italiana, l'avessero appresa grazie a dosi massicce di televisione italiana.

mercoledì 16 febbraio 2011

Valori

Der bestirnte Himmel über mir und das moralische Gesetz in mir.
Kant

Tagesbilanz

Der Abendhimmel über mir,
die Magensäure in mir,
das Flattern der Augenlider,
ich schließe den Vorhang,
notiere meine Werte:
Angstindex leicht sinkend,
Bitterstoffe konstant.

Hans-Ulrich Treichel

Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me.
Kant

Bilancio giornaliero

Il cielo serale sopra di me,
l'acido gastrico dentro di me,
lo sbattere delle palpebre,
tiro le tende,
annoto i miei valori:
indice della paura in leggera diminuzione,
sostanze amare costanti.

martedì 15 febbraio 2011

Dizionario di tutte 'e cose - I come Indecisioni

Per esempio: violoncello da spalla o viola da gamba?



lunedì 14 febbraio 2011

Questa non la potrò mai digerire

Nel 1801 Bruto Provedoni, ritornato in Friuli dopo aver perso una gamba in battaglia nelle file della Repubblica Cisalpina, scrive una lettera all'amico Carlino, il protagonista e io narrante delle Confessioni d'un italiano, che in quel momento si trova a Ferrara. Ne ricopio un breve estratto.
Come sapete, furono tolte le antiche giurisdizioni gentilizie; e Venchieredo e Fratta non sono più altro che villaggi, soggetti anch'essi, come Teglio e Bagnara, alla Pretura di Portogruaro. Così si chiama un nuovo magistrato stabilito ad amministrar la giustizia; ma per quanto sia utile e corrispondente ai tempi una tal innovazione, i contadini non ci credono. Io sono troppo ignorante per avvisarne le cause; ma essi forse non si aspettano nulla di bene da coloro che colla guerra hanno fatto finora tanto male. Quello che è certo si è che coloro che in questo frattempo si sono ingrassati furono i tristi; i dabbene rimasero soverchiati, e impoveriti per non aver coraggio di fare il loro pro' delle sciagure pubbliche. I cattivi conoscono i buoni; sanno di potersene fidare e li pelano a man salva. Nei contratti con cui sottoscrivono alla propria rovina essi non si provvedono né appigli a future liti né scappatoie; danno nella rete ingenuamente, e sono infilzati senza misericordia. Alcuni fattori delle grandi famiglie, gli usurai, gli accaparratori di grano, i fornitori dei comuni per le requisizioni soldatesche, ecco la genia che sorse nell'abbattimento di tutti. Costoro, villani o servitori pur ieri, hanno più boria dei loro padroni d'una volta, e dal freno dell'educazione o dei costumi cavallereschi non sono neppur costretti a dare alla propria tristizia l'apparenza dell'onestà. Hanno perduto ogni scienza del bene e del male; vogliono essere rispettati, ubbiditi, serviti perché sono ricchi. Carlino! La rivoluzione per ora ci fa più male che bene. Ho gran paura che avremo di qui a qualche anno superbamente insediata un'aristocrazia del denaro, che farà desiderare quella della nascita. Ma ho detto per ora, e non mi ritratto; giacché se gli uomini hanno riconosciuto la vanità di diritto appoggiati unicamente ai meriti dei bisnonni e dei trisarcavoli, più presto conosceranno la mostruosità d'una potenza che non si appoggia ad alcun merito né presente né passato, ma solamente al diritto del danaro che è tutt'uno con quello della forza. Che chi ha danaro se lo tenga e lo spenda e ne usi; va bene; ma che con esso si comperi quell'autorità che è dovuta solamente al sapere e alla virtù, questa non la potrò mai digerire. È un difettaccio barbaro ed immorale del quale deve purgarsi ad ogni costo l'umana natura.
Ippolito Nievo, Le confessioni d'un italiano, Capitolo Decimottavo, Arnoldo Mondadori Editore, 1981

domenica 6 febbraio 2011

Aiace, per esempio

La scorsa settimana sono stata a Monaco, praticamente senza vederla se non nei brevi fotogrammi che ho potuto cogliere nel passaggio da un mezzo di trasporto ad un altro e all'interno di qualche suo edificio, come tutte le volte in cui il motivo del viaggio è lavorativo e il tempo a disposizione poco.

Quando si arriva all'aeroporto di Monaco, nel percorso che porta dal complesso aeroportuale alla scala mobile della S-Bahn, si esce su un enorme piazzale che, più che da raccordo, funge da imponente palcoscenico pubblicitario. In questi giorni, come in altre occasioni, il passeggero è forzato a posare lo sguardo, che lo voglia o no, sulle linee e sui luccichii di carrozzerie di superbe automobili tedesche.

Anche se quelle su cui è stato forzato il mio sguardo non erano Mercedes, a me è venuta in mente una poesia di Heiner Müller in cui compare il suo simbolo a stella, come è facile immaginare non per motivi di ammirazione. Mi ero quindi riproposta di ritrovare quella poesia e l'ho fatto, ma preferisco ricopiarla integralmente in un altro momento e cominciare riportando alcuni dei pensieri che da quella poesia derivo. Si tratta di una poesia che, come altre poesie di Müller, si misura col mito, in questo caso quello di Aiace, che Müller ripercorre e reinterpreta alla luce della storia del XX secolo e, naturalmente, della propria storia personale. 

Inizia così.

Ajax zum Beispiel


Babypille fauler Zauber
Ajax hält das Becken Sauber

In den Buchläden stapeln sich
Die Bestseller Literatur für Idioten
Denen das Fernsehen nicht genügt
Oder das langsamer verblödende Kino
Ich Dinosaurier nicht von Spielberg sitze
Nachdenkend über die Möglichkeit
Eine Tragödie zu schreiben Heilige Einfalt
Im Hotel in Berlin unwirklicher Hauptstadt
Mein Blick aus dem Fenster fällt
Auf den Mercedesstern
Der sich im Nachthimmel dreht melancholisch
Über dem Zahngold von Auschwitz und anderen Filialen
Der Deutschen Bank auf dem Europacenter


Aiace, per esempio

La pillola magica è solo un trucchettino
Ajax pulisce ogni lavandino
Detto popolare

Nelle librerie si accumulano
I bestseller letteratura per idioti
A cui la televisione non basta
O il cinema che rincretinisce più lentamente
Io dinosauro non di Spielberg sto seduto
Riflettendo sulla possibilità
Di scrivere una tragedia Santa Ingenuità
Nell'albergo a Berlino capitale irreale
Il mio sguardo dalla finestra cade
Sulla stella della Mercedes
Che nel cielo notturno gira malinconica
Sull'oro dei denti di Auschwitz e altre filiali
Della Deutsche Bank all'Europacenter


Sono convinta che molti la trovino datata, ma cercherò di spiegare perché per me non è così.

Intanto, confrontandosi col mito, ha sia il pregio di non spezzare il legame col passato, persino quello più remoto, rispettando così la continuità del pensiero umano, sia l'umiltà di ritrovare nel presente segni di comportamenti connaturati all'uomo e alle sue debolezze, riconoscendo in tal modo i suoi limiti e soprattutto la non esclusività delle sue vicende, anche le più drammatiche.

E poi, vi trovo, fin dall'esergo, la questione del linguaggio, del suo impoverimento e della sua impotenza ed inadeguatezza rispetto a coloro che fanno della violenza e dell'oblio le proprie insegne e che invitano con tutti i mezzi a loro disposizione a dimenticare il passato (o a ricordarne al più delle parti selezionate, ma mai a farlo in toto), a concentrare l'attenzione solo sulla fruizione immediata e sull'immediatezza del presente, a rincorrere lo svolgersi di ogni evento a mano a mano che accade e a passare continuamente all'evento successivo, all'istante successivo, evitando in tutti i modi ogni atteggiamento riflessivo, ogni insorgere di un dubbio, ogni pausa e persino ogni silenzio, senza i quali considerare un minimo quadro complessivo, sia in prospettiva per così dire geografica, spaziale, al di là del proprio microcosmo, sia in prospettiva storica, diventa impossibile.

E infine, per integrazioni con altri ricordi, consente di arrivare a immagini di fiori, di colori, e quindi di speranza.

E chissà, magari cammin facendo ne uscirà anche dell'altro. Proseguo.

Europa der Stier ist geschlachter das Fleisch
Fault auf der Zunge der Fortschritt läßt keine Kuh aus
Götter werden dich nicht mehr besuchen
Was dir bleibt ist das Ach der Alkmene
Und der Gestank von brennenden Fleisch den täglich
Von deinen Rändern der landlose Wind dir zuträgt
Und manchmal aus den Kellern deines Wohlstands
Flüstert die Asche singt das Knochenmehl
Eine Laufschrift am Kurfürstendamm verkündet der Welt
PETER ZADEK ZEIGT BERLIN SEINE ZÄHNE

Europa Il toro è macellato la carne
Marcisce sulla lingua il progresso non tralascia nessuna mucca
Gli dei non ti visiteranno più
Quel che ti resta è l'ahimè di Alcmena
E la puzza di carne che brucia che ogni giorno
Dai tuoi bordi il vento apolide ti porta
E talvolta dalle cantine del tuo benessere
Bisbiglia la cenere canta la farina delle ossa
Una scritta luminosa sul Kurfürstendamm annuncia al mondo
PETER ZADEK MOSTRA I DENTI A BERLINO

Il titolo di un'intervista a Zadek, all'epoca condirettore con Müller al Berliner Ensemble, pubblicata sul Berliner Morgenpost consente di datare la poesia alla fine del 1993.

L'Europa del mito (chi meglio di lei?) consente invece di stabilire una volta per tutte quali siano le origini dell'Europa. Se era figlia del re di Tiro Agenore, siamo tutti fenici o, se preferiamo, palestinesi.

La cenere. Le ossa.
Sono sceso giù per la fascia erbosa che cade ripida dal ripiano fino alla siepe di filo spinato. Qui, sul pezzetto di terreno stretto tra il filo e il pendio, accanto al pozzo nero, una volta c’era la buca per la cenere. Ora vi hanno sistemato un cimitero in miniatura, grande come due lenzuoli, cinto di pietre grezze e con due scritte al centro: “Honneur et patrie – Ossa humiliata“. Due espressioni, quasi due aforismi nei quali, come al solito, gli uomini condensano la rivelazione di una verità indicibile. Ma ciò che ora mi avvilisce non è l’isolamento cui sono condannati questi ripiani, bensì il silenzio in cui un’élite previdente e tenace avvolge queste ossa humiliata. Chi nel momento di estremo pericolo per l’Europa aveva giurato di disinfestarla a fondo si è poi asservito ad altri interessi meno nobili, per raggiungere i quali l’esigenza di una vera denazificazione diventava un ostacolo. Così l’Europa è uscita dal dopoguerra, che avrebbe potuto essere il periodo in cui compiere la propria purificazione, come un’invalida a cui qualcuno abbia applicato occhi di vetro perché non spaventi i bravi cittadini con le sue occhiaie vuote, e tuttavia burlandosi di lei e offendendola con impudenza. E l’uomo europeo ha accettato questo perché, nonostante le sue esclamazioni altisonanti, in verità è indolente e pauroso, talmente abituato a tirare avanti con comodo e a ridurre tutto quanto a sistema da non trovare lo spazio per inserire, nel proprio ordine di preoccupazioni misurato col bilancino, il bisogno di un atto di fierezza. E se ogni tanto, nell’inconscio, prova vergogna per questa situazione da eunuco, si sfoga in grande stile nelle prediche moralizzatrici e nello stigmatizzare le gesta avventate della gioventù; ma ha già scialacquato in anticipo il patrimonio di onestà e giustizia che avrebbe dovuto trasmettere alle nuove generazioni. Anche queste mie constatazioni però sono consunte al punto che nell’apatia generale risuonano come noiosi sermoni. Chissà, forse solo un nuovo ordine monastico laico potrebbe risvegliare l’uomo standardizzato, un ordine che vestisse il saio striato degli internati e inondasse le capitali dei nostri Stati, disturbasse con il rumore dei suoi zoccoli il raccoglimento dei negozi lussuosi e dei passeggi. Ciò che qui è rimasto nei vasi con la cenere dovrebbe essere portato in processione nelle città; notte e giorno, un mese dopo l’altro, gli uomini in divisa a strisce con gli zoccoli ai piedi dovrebbero montare la guardia d’onore ai vasi rossastri su tutte le piazze principali delle metropoli tedesche e non tedesche.
Boris Pahor, Necropoli, Fazi Editore, 2009 (prima edizione 1967, col titolo Nekropola), traduzione dallo sloveno di Ezio Martin, revisione del testo di Valerio Aiolli

E invece niente vasi.

E, al contrario di Aiace, poca, pochissima vergogna, alle volte proprio nessuna: il 28 ottobre del 2010, anniversario della marcia fascista su Roma, sui muri della casa della cultura slovena di Trieste, è apparsa la scritta: Boris Pahor Kapo. Un linguaggio in linea con quello dell'attuale presidente del consiglio dei ministri italiano, che nel 2003 al Parlamento europeo così diceva: "Signor Schulz, in Italia c'è un produttore che sta preparando un film sui campi di concentramento nazisti, la proporrò per il ruolo di kapò". Certamente il tono dei due linguaggi non si presta a frettolosi paragoni: l'attuale presidente del consiglio dei ministri italiano lo disse "sorridendo" - era "una battuta ironica". A proposito di linguaggio, osservo che il titolo confezionato per l'occasione da Repubblica, un giornale da sempre antiberlusconiano, fatte pur salve tutte le limitazioni che lo spazio di un titolo impone, si riferiva a un "duello verbale" fra i due, ponendo implicitamente i due deputati su un piano paritario, a contrapporsi a vicenda. Piano implicitamente paritario confermato dal link, che è contrassegnato come "litigio" su ben due livelli. La Süddeutsche Zeitung, che ha più o meno la stessa collocazione di Repubblica, usò invece Eklat (scandalo) nell'occhiello, le parole stesse del presidente del consiglio dei ministri italiano nel titolo, e, tra le varie cose, blitzendes (fulminante) per caratterizzare il suo Lächeln (sorriso) nel testo.

Parole.

Parole come Dachau. Dachau è appena fuori Monaco. Ci penso spesso, quando sono lì. A chi c'è stato allora, a chi ci abita ora. Come Buchenwald, che è appena fuori Weimar. O Mauthausen, che è appena fuori Linz (o la Risiera di San Sabba, che a Trieste è dentro). Da quando vivo in Francia mi chiedo come si possa pronunciare Dachau Dasciò senza battere ciglio. Scicagò, Illinuà (Chicago, Illinois) mi fa sorridere. Dasciò mi disturba.


BEWARE OF DENTISTS möchte man ihm sagen
In den Bauernkriegen dem größten Unglück
Der deutschen Geschichte las ich kopfschüttelnd
Im Stand der Unschuld neunzehnachtundvierzig
Wie kann eine Revolution ein Üngluck sein
In Brechts Anmerkungen zur MUTTER COURAGE
Wurde der Reformation der Reißzahn gezogen
Heute kann ich die Fortsetzung schreiben Der
Französischen Revolution in den Kriegen Napoleons
Der sozialistischen Frühgeburt im Kalten Krieg
Seitdem schreibt die Geschichte wieder Tango
Ein Exkurs über Revolution und Zahnmedizin
Geschrieben im Jahrhundert der Zahnärzte
Zwei Zahnprothesen ein Büchner-Preis
Das zu Ende geht Das kommende
Wird den Advokaten gehören die Zeit
Steht als Immobilie zum Verkauf
Im Hochhaus unter dem Mercedesstern

BEWARE OF DENTISTS gli si vorrebbe dire
Nelle guerre dei contadini la più grande sciagura
Della storia tedesca leggevo scuotendo il capo
In stato d'innocenza millenovecentoquarantotto
Come può una rivoluzione essere una sciagura
Nelle note di Brecht su MADRE CORAGGIO
Si è strappato il dente canino alla Riforma
Oggi io posso scrivere il seguito Della
Rivoluzione francese nelle guerre napoleoniche
Della nascita prematura del socialismo nella Guerra Fredda
Da allora la storia balla di nuovo il tango
Un excursus su rivoluzione e odontoiatria
Scritto nel secolo dei dentisti
Due protesi dentarie un premio Büchner
Quello che finisce Quello che viene
Apparterrà agli avvocati il tempo
Sta come proprietà immobiliare in vendita
Nel grattacielo sotto la stella della Mercedes

In den Bauernkriegen, dem größten Unglück der deutschen Geschichte, war, was das Soziale betrifft, der Reformation der Reißzahn gezogen worden. Übrig blieben die Geschäfte und der Zynismus.
Bertolt Brecht, Anmerkungen zur Mutter Courage
Nelle guerre dei contadini, la più grande sciagura della storia tedesca, per quel che concerne l'aspetto sociale, alla Riforma furono strappati i denti per mordere. Restarono gli affari e il cinismo.
Bertolt Brecht, Note a Madre Coraggio

Torre della televisione, Gedächtniskirche e Europa Center (con la stella della Mercedes), Berlino

La libertà sarà ora semplicemente sponsorizzata - con la piccola cassa, 1990
Installazione temporanea. Torre di guardia nell'ex "Striscia della morte", Stella Mercedes Neon, Iscrizioni di bronzo; Europa Center (in forma di ready-made)
Mostra collettiva La limitatezza della libertà, Berlino, settembre 1990
L'idea della mostra fu sviluppata prima della caduta del muro a partire da dialoghi tra Rebecca Horn, Jannis Kounellis e Heiner Müller. Adattate alla nuova situazione politica, le loro idee furono finanziate dal Senato di Berlino e realizzate nel 1990 da Wulf Herzogenrath assieme all'Ufficio tedesco degli scambi universitari. Undici artisti (Giovanni Anselmo, Barbara Bloom, Christian Boltanski, Hans Haacke, Rebecca Horn, llya Kabakov, Jannis Kounellis, Via Lewandowski, Mario Merz, Raffael Rheinsberg, Krzysztof Wodiczko) furono invitati a realizzare un lavoro temporaneo per lo spazio pubblico nelle metà complementari ancora divise di Berlino. La mostra con il titolo di Heiner Müller fu inaugurata diversi mesi prima dell'unificazione delle due parti della Germania.
La DDR nel 1961 aveva creato al confine con Berlino Ovest una striscia di terra vuota delimitata da due muri insormontabili provvisti di recinzioni elettriche protette da cani da guardia e da mine. Questo "confine per la pace" era controllato incessantemente da pattuglie militari e fari dall'alto delle torri di guardia. Circa 175 uomini che avevano cercato di fuggire in occidente trovarono la morte in questa "striscia della morte".
Per il progetto della mostra fu scelta una torre di guardia nei pressi del valico della Heinrich-Heine Straße. Fu provvista di finestre di vetro riflettente che ricordavano il lussuoso Palasthotel di Berlino Est, riservato ad ospiti della DDR. Come per i finestrini delle camionette d'assalto della polizia della Germania Ovest, delle griglie proteggevano le finestre della torre contro il lancio di pietre. Il faro sul tetto fu sostituito da una stella della Mercedes che ruotava lentamente in una gabbia. Specie di notte il neon a forma di stella dominava la terra deserta. Sul tetto dell'Europa Center, l'edificio più alto nel cuore del quartiere commerciale alla moda di Berlino Ovest, ruota da anni una stella della Mercedes del tutto simile, anche se molto più imponente.
Entrambe le iscrizioni sulle parti contrapposte della torre traevano origine da una serie di doppi annunci pubblicitari, in cui Daimler Benz citava gente famosa. "Essere pronti è tutto" ("The readiness is all") di Shakespeare ricordava il motto "Siate pronti - sempre pronti" dei giovani pionieri della DDR. Con l'altra citazione "L'arte rimane arte" di Goethe, la Mercedes fece pubblicità anche sul New York Times.
Pochi mesi prima della mostra, Daimler Benz aveva suscitato delle polemiche per aver acquistato un grande terreno non edificato sulla Potsdamer Platz. Ci si aspettava che questa zona vicina all'ex muro, dove si trovava il vecchio centro cittadino, in futuro sarebbe diventata il punto centrale pulsante di Berlino. Il Senato berlinese vendette il terreno alla Daimler Benz ad un decimo del valore di mercato stimato, prima che fosse ultimato il piano regolatore per la nuova zona. A causa di un ricorso per concorrenza sleale presso le istituzioni dell'UE a Bruxelles, alla Daimler Benz fu ingiunto di corrispondere pagamenti supplementari.
La Daimler Benz appartiene alle imprese tedesche che avevano attivamente favorito la presa del potere da parte di Hitler. Il presidente del consiglio di amministrazione e l'amministratore delegato erano entrambi membri delle SS. La gran parte degli aerei militari e dei mezzi militari tedeschi della seconda guerra mondiale erano equipaggiati con motori Mercedes. Come altre imprese, anche Daimler Benz si affidò al lavoro coatto. È stato nel frattempo stabilito un risarcimento di 434 marchi per ciascuno dei suoi 48000 lavoratori coatti. L'impresa prosperò, anche dopo la guerra. È il gruppo industriale più grande, nonché il più grande produttore d'armi della Repubblica Federale Tedesca.
Assieme al governo sudafricano Daimler Benz gestisce in Sudafrica un sito produttivo cui è garantito il monopolio della produzione di grandi motori diesel. Nonostante un embargo internazionale d'armi, la Mercedes ha fornito all'esercito e alla polizia in Sudafrica più di 6000 veicoli, inclusi lanciamissili. L'ex capo della filiale Mercedes a Città del Capo presiede ora Deutsche Aerospace.
Negli anni Ottanta Daimler Benz ha venduto all'Irak elicotteri, mezzi militari e missili. La società è anche sospettata della fornitura di rimorchi che sono stati utilizzati come basi di lancio mobili dei missili Scud. Secondo inchieste giornalistiche, Daimler Benz ha in programma la costruzione di mezzi pesanti in Iran con il sostegno della guardia rivoluzionaria.
Daimler Benz è attualmente lo sponsor più importante di mostre d'arte nella Repubblica Federale Tedesca. Anni fa aveva affidato a Andy Warhol l'incarico di realizzare una serie di ritratti delle loro vetture dall'inizio fino al presente. Dopo la morte dell'artista sono stati esposti a Tübingen e al museo Guggenheim di New York. Le mostre sono state sponsorizzate da Daimler Benz.
Il 20 giugno 1990 a Monte Carlo sono stati messi all'asta 81 pezzi del muro di Berlino da un'azienda governativa della DDR in collaborazione con un'azienda di Berlino Ovest. Un certificato garantiva l'autenticità del materiale della mostra.
Da Freedom is now simply going to be sponsored - out of petty cash
Pubblicità Fiat Balilla

Demograzia
a no'l è sucedût nua
canàes
continuàa a comprâa
Federico Tavan, Cràceles cròceles, I quaderni del Menocchio, 1997
Democrazia
non è successo niente
ragazzi
continuate a comprare

In den Etagen der Kulturverwaltung
Was für ein Wort Wer verwaltete Phidias
Ein Teppichhändler aus Smyrna laut POLYDOR
Auch die Kunst lebt nicht vom Staub allein
Brennt noch Licht rauchen die Köpfe im Sparzwang
Proben die Amputierten den aufrechten Gang
Mit geborgten Krücken aus Fiberglas
Unter Aufsicht des Finanzsenators
ZUM GELDE DRÄNGT AM GELDE HÄNGT DOCH ALLES
Stöhnt Faust in Goethes Sarkophag in Weimar
Mit der gebrochenen Stimme von Einar Schleef
Der seine Chöre probt in Schillers Schädel
Ich Dinosaurier im Rauschen der Klimaanlage
Selbst in der Steuerschraube bis zum Hals
Die Staatsgewalt geht vom Geld aus Geld
Muß kaufen Arbeit macht unfrei Heimat ist
Wo die Rechnungen ankommen sagt meine Frau
Lese Sophokles AJAX zum Beispiel Beschreibung

Nei piani dell'amministrazione culturale
Che parole Chi amministrava Fidia
Un venditore di tappeti di Smirne secondo POLIDORO
Anche l'arte non vive di sola polvere
Accesa ancora la luce Fumano teste costrette dai tagli di spesa
Gli amputati provano l'andatura eretta
Con stampelle in vetroresina prestate
Sotto il controllo dell'assessore alle finanze
AL DENARO SPINGE DAL DENARO DIPENDE TUTTO
Faust sospira nel sarcofago di Goethe a Weimar
Con la voce rotta di Einar Schleef
Che prova i suoi cori nel cranio di Schiller
lo dinosauro nel fruscio dell'aria condizionata
Anch'io torchiato dalle tasse fino al collo
La violenza dello Stato promana dal denaro Il denaro
Deve comprare Il lavoro rende non liberi Casa
È dove arrivano le fatture dice mia moglie
Leggo Sofocle AIACE per esempio Descrizione

αἰαῖ· τίς ἄν ποτ' ᾤεθ' ὧδ' ἐπώνυµον
τοὐµὸν ξυνοίσειν ὄνοµα τοῖς ἐµοῖς κακοῖς;
νῦν γὰρ πάρεστι καὶ δὶς αἰάζειν ἐµοὶ
καὶ τρίς τοιούτοις γὰρ κακοῖς ἐντυγχάνω·
Ahi, ahi! Chi avrebbe potuto pensare che il mio nome si potesse accordare così bene con le mie sventure? Ora sì che posso dire e ridire "ahi, ahi, Aiace", ora che soccombo alla sventura!
Sofocle, Aiace

Eines Tierversuchs vergilbte Tragödie
Eines Mannes mit dem eine launische Göttin
Blindekuh spielt vor Troja im Abgrund der Zeiten
Arnold Schwarzenegger im WÜSTENSTURM
Um mich heutigen Lesern verständlich zu machen
ICH AJAX OPFER ZWEIFACHEN BETRUGS
Ein Mann in Stalinstadt Bezirk Frankfurt Oder
Auf die Nachricht vom Klimawechsel in Moskau
Nahm stumm von der Wand das Porträt des geliebten
Führers der Arbeiterklasse des Weltkommunismus
Trat mit Füßen das Bild des toten Diktators
Hängte sich auf dem frei gewordenen Haken
Sein Tod hatte keinen Nachrichtenwert Ein Leben
Für den Reißwolf KEINER ODER ALLE
War das falsche Programm für alle reicht es nicht
Das letzte Kriegsziel ist die Atemluft
Oder KAULICH befreit von der Roten Armee
Aus Hitlers Gulag hört nach vier Tagen Fußmarsch
Aus einem zerschoßnen Fenster seine Frau schrein
Sieht einen Soldaten der uhmreichen Roten Armee
Der sie aufs Bett wirft vergißt das ABC
Des Kommunismus schlägt dem Genossen Befreier
Den Schädel ein Übt Selbstkritik im Gespräch mit dem Toten
Kein Ohr für die immer noch schreiende Frau
Wird zuletzt gesehn auf dem Transport
In Stalins Gulag seine zweite Epiphanie
Singt die Internationale im Viehwagen
Wenn er gestorben ist singt er heute noch
Mit den toten Kommunisten unter dem Eis
Das Schreibglück der fünfziger Jahre
Als man aufgehoben war im Blankvers


Di un esperimento su animali tragedia ingiallita
Di un uomo col quale una dea lunatica
Gioca a mosca cieca davanti a Troia nell'abisso dei tempi
Arnold Schwarzenegger in DESERT STORM
Per farmi capire dai lettori odierni
IO AIACE VITTIMA DI DUPLICE INGANNO
Un uomo a Stalinstadt circoscrizione Francoforte sull'Oder
Alla notizia del cambiamento del clima politico a Mosca
Staccava muto dalla parete il ritratto dell'amato
Guida della classe operaia del comunismo mondiale
Calpestava l'immagine del dittatore morto
Si impiccava al gancio liberato
La sua morte non valeva una notizia Una vita
Per il distruggidocumenti NESSUNO O TUTTI
Era il programma sbagliato per tutti non basta
L'ultimo obiettivo di guerra è l'aria da respirare
Oppure KAULICH liberato dall'Armata Rossa
Dal gulag di Hitler che dopo una marcia di quattro giorni sente
Gridare sua moglie da una finestra distrutta
Vede un soldato della gloriosa Armata Rossa
Che la butta sul letto dimentica l'ABC
Del comunismo e fracassa al compagno liberatore
Il cranio Compie autocritica parlando col morto
Senza badare alla donna che grida ancora
Viene visto l'ultima volta trasportato
Verso il gulag di Stalin sua seconda epifania
Canta l'internazionale nel carro bestiame
Se è morto canta ancora oggi
Con i comunisti morti sotto il ghiaccio
La felicità della scrittura degli anni Cinquanta
Quando si era nelle buone mani del Blankvers


Più di una volta mi è capitato di trovare l'osservazione per cui, a differenza che nella Germania nazista, alla caduta del fascismo nessuno si sarebbe suicidato in Italia. In realtà almeno uno ci fu. Si chiamava Manlio Morgagni e la sua storia aveva avuto molto in comune con quella di Mussolini. Fu quasi una simbiosi. Ex socialista, fascista della prima ora, consigliere comunale a Milano e poi senatore del Regno, giornalista, ricoprì importanti incarichi nel giornalismo italiano dell'epoca, soprattutto ne Il Popolo d'Italia, fino a diventare presidente e direttore generale dell'unica agenzia di stampa autorizzata dal regime, l'agenzia Stefani. Alla notizia di quello che considerò il tradimento del 25 luglio del 1943, quando il Gran Consiglio del fascismo sfiduciò Mussolini, lasciò questa lettera.
Mio Duce! L'esasperante dolore di italiano e di fascista mi ha vinto! Non è atto di viltà quello che compio: non ho più energia, non ho più vita. Da più di trenta anni tu, Duce, hai avuto tutta la mia fedeltà. La mia vita era tua. Ti ho servito, un tempo, come amico, ho proseguito a farlo, con passione di gregario sempre con devozione assoluta. Ti domando perdono se sparisco. Muoio col tuo nome sulle labbra e un'invocazione per la salvezza dell'Italia.
Morgagni
Siamo ad anni luce dal senso di vergogna che Aiace prova dopo aver abbattuto, accecato da Atena, gli armenti in cui credeva di aver visto gli Achei che gli avevano sottratto le armi di Achille, che Aiace considerava di diritto proprie: l'Italia di Morgagni - un'Italia che, se si pensa alle manifestazioni di fedeltà che il principe riceve dai cortigiani qualsiasi cosa egli faccia, non è morta il 25 luglio del 1943 - era per certi aspetti ancora più arcaica della Grecia di Aiace. Perché anche volendo leggere la fedeltà cieca di Morgagni come quella di un solo uomo, di un'eccezione - una lettura forzata, vista l'eredità fascista trasmessa e sopravvissuta anche nell'Italia democratica -, così non si può certo pensare per i fatti di piazzale Loreto, che ha visto una folla di persone battere il proprio selciato per infierire su dei cadaveri. La Grecia di Sofocle, arcaica non lo era già più e infatti in Aiace non si riconosceva: nella Grecia di Sofocle, la modernità era Ulisse, l'Ulisse che si era speso per garantire una tomba ad Aiace. Però, c'è almeno un però che per me conta, un resto, se si vuole, che mi piace sottolineare. A differenza del vincente, moderno Ulisse, il perdente, arcaico Aiace è vissuto e morto senza l'aiuto degli dei, anzi, con la loro ostilità. È un dinosauro (non di Spielberg), ma ha una sua dignità.



Zwischen den Planken des kenternden Geisterschiffs
Beschirmt vom ironischen Pathos des Knittelreims
Nur die Hebungen werden gezählt
Gegen den Steinschlag der Denkmäler
In der Ewigkeit des Augenblicks
Im Elend der Information BILD KÄMPFT FÜR SIE
Wird Erzählung Prostitution BILD KÄMPFT
Gibt die Tragödie dem Geist auf Stalin zum Beispiel
Seit seine Totems zum Verkauf stehn
Blut geronnen zu Medaillenblech
Am Brandenburger Tor für Hitlers Enkel
Welchen Text soll ich ihm in den Mund legen
Oder ins Maul stopfen je nach dem Standpunkt
In das Gehege seiner gelben Zähne
In sein kaukasisches Wolfsgebiß
In seiner Nacht im Kreml beim Warten auf Hitler
Wenn der sprachlose Lenin erscheint im Wodka
Lallend und brüllend nach dem zweiten Gehirnschlag
Der Beweger der Welt dem seine Zunge
Nicht mehr gehorchen will LENINDADA
Seine Welt ein Quadrat von Malewitsch
Der Tartar der das Gesetz der Steppe
Nicht mehr begreift Römer geworden zur Unzeit
Das sein Vollstrecher im Blut hat der Kaukasier
Oder Trotzki das Beil des Macbeth noch im Schädel
Die Faust geballt zum bolschewistischen Gruß
Im deutschen Panzerturm Hamlet der Jude
Oder Bucharin der im Keller singt
Der Liebling der Partei Kind der AURORA
Mit Hitler vielleicht kann er reden von Mann zu Mann
Oder von Tier zu Tier je nach dem Standpunkt
Der Totengräber mit dem Totenführer
Nach zehn Jahren Krieg war Troja museumsreif
Ein Gegenstand von Archäologie
Nur ein Hündin heult noch um die Stadt
Aus dem Gebeinen der Rächer gründete Rom
Preis eine brennende Frau in Karthago
Mutter der Elefanten Hannibals
Rom von der Wölfin gesäugt das den Sieger beerbte
Griechenland eine Provinz aus der man Kultur zog
3000 Jahre nach der blutigen
Geburt der Demokratie mit Bad Netz Beil
O NACHT SCHWARZE MUTTER im Haus der Atriden
Die Zange führt Athene die Kopfgeburt
Kriecht das dritte Rom schwanger mit Unheil
Nach Bethlehem in seine nächste Gestalt
Der Rausch der alten Bilder Die Müdigkeit
Im Rücken das unendliche Gemurmel
Des Fernsehprogramms BEI UNS SITZEN SIE
IN DER ERSTEN REIHE Die Schwierigkeit
Den Vers zu behaupten gegen das Stakkato
der Werbung das die Voyeure zu Tisch lädt
UNSERN TÄGLICHEN MORD GIB UNS HEUTE
In meinem Gedächtnis taucht ein Buchtitel auf
DIE ERSTE REIHE Bericht von Toden in Deutschland
Kommunisten gefallen im Krieg gegen Hitler
Jung wie die Brandstifter von heute wenig
Wissend vielleicht wie die Brandstifter von heute
Andres wissend und andres nicht wissend
Verfallen einem Traum der einsam macht
Im Kreisverkehr der Ware mit der Ware
Ihre Namen der Nation aus dem Gedächtnis
Der Nation was immer das sein oder werden mag
Im aktuellen Gemisch aus Gewalt und Vergessen
In der traumslosen Kälte des Weltraums
ICH AJAX DER SEIN BLUT VERSTRÖMT
ÜBER SEIN SCHWERT GEKRÜMMT AM STRAND VON TROJA
Im weißen Rauschen
Kehren die Götter zurück nach Sendeschluß
Verbrennt sie Sehnsucht nach dem reinen Reim
Der Welt in Wüste wandelt Tag in Traum
Reime sind Witze im Einsteinschen Raum
Des Lichtes Welle sondert keinen Schaum
Brechts Denkmal ist ein kahler Pflaumenbaum
Und so weiter was die Sprache hergibt
Oder das Lexikon des deutschen Reims
Das letzte Programm ist die Erfindung des Schweigens
ICH AJAX DER SEIN BLUT


Tra le assi della nave fantasma che si capovolgeva
Protetti dal pathos ironico della rima baciata
Solo le arsi si contano
Contro la caduta massi dei monumenti
Nell'eternità dell'attimo
Nella miseria dell'informazione BILD LOTTA PER VOI
Il racconto diventa prostituzione BILD LOTTA
La tragedia esala l'anima Stalin per esempio
Da quando i suoi totem sono in vendita
Sangue coagulato in latta per medaglie
Alla porta di Brandeburgo per i nipoti di Hitler
Quale testo devo mettergli in bocca
O ficcargli sul muso a seconda del punto di vista
Nel recinto dei suoi denti gialli
Nella sua caucasica dentatura da lupo
Nella sua notte al Cremlino aspettando Hitler
Quando Lenin ammutolito appare nella Vodka
Balbettante e sbraitante dopo il secondo ictus
Il motore del mondo cui la sua lingua
Non vuole più obbedire LENINDADA
Il suo mondo un quadrato di Malevič
Il tartaro che non comprende più
La legge della steppa diventato romano fuori tempo
Che l'esecutore ha nel sangue il caucasico
O Trotzki l'ascia del Macbeth ancora nel cranio
Il pugno chiuso nel saluto bolscevico
Nella torretta dei panzer tedeschi Amleto l'ebreo
O Bucharin che canta nella cantina
Il preferito del partito figlio dell'AURORA
Con Hitler forse può parlare da uomo a uomo
O da bestia a bestia a seconda del punto di vista
Il becchino col duce dei morti
Dopo dieci anni di guerra Troia era matura per il museo
Un oggetto di archeologia
Solo una cagna ulula attorno alla città
Sulle ossa dei vendicatori fondava Roma
Il prezzo una donna in fiamme a Cartagine
Madre degli elefanti di Annibale
Roma allattata dalla lupa che è erede del vincitore
La Grecia una provincia da cui si estraeva cultura
3000 anni dopo la sanguinosa
nascita della democrazia con bagno rete ascia
AH NOTTE MADRE NERA nella casa degli Atridi
Il forcipe condotto da Atena nata dalla testa
Striscia la terza Roma gravida di disgrazie
Dopo Betlemme nella sua prossima forma
La sbornia delle vecchie immagini La stanchezza
Alle spalle l'infinito mormorio
Del programma televisivo DA NOI SEDETE
IN PRIMA FILA La difficoltà
Di difendere il verso contro lo staccato
Della pubblicità che invita a tavola i voyeur
DACCI OGGI IL NOSTRO ASSASSINIO QUOTIDIANO
Dai miei ricordi affiora un titolo
LA PRIMA FILA rapporto sulla morte in Germania
Comunisti caduti in guerra contro Hitler
Giovani come gli incendiari di oggi poco
Sapendo forse come gli incendiari di oggi
Sapendo altro e altro non sapendo
Succubi di un sogno che rende soli
Nel traffico circolare della merce con la merce
I loro nomi dimenticati e cancellati
Nel nome della nazione dalla memoria
Della nazione qualunque cosa sia o possa diventare
Nella miscela attuale di violenza e oblio
Nel freddo dello spazio senza sogni
IO AIACE CHE SPARGE IL SUO SANGUE
CURVATO SULLA SUA SPADA SULLA SPIAGGIA DI TROIA
Nel fruscio bianco
Tornano gli dei dopo la fine dei programmi
Brucia la nostalgia della rima pura
Che trasforma il mondo in deserto il giorno in sogno
Le rime sono battute nello spazio einsteiniano
L'onda della luce non sceglie la schiuma
Il monumento di Brecht è un prugno spoglio
E così via quanto restituisce
La lingua o il lessico del rimario tedesco
L'ultimo programma è l'invenzione del silenzio
IO AIACE CHE IL SUO SANGUE

Così si interrompe la poesia di Müller, con una frase a metà che, dopo la lotta a colpi di parole contro la violenza e l'oblio, cade nel silenzio.

Che Aiace fosse stato un uomo che non aveva esitato a combattere da solo, resistendo persino al più potente degli dei, ce l'ha lasciato nella memoria Ovidio.

Hectora qui solus, qui ferrum ignesque Iovemque
sustinuit totiens, unam non sustinet iram,
invictumque virum vicit dolor: arripit ensem
et 'meus hic certe est! an et hunc sibi poscit Ulixes?
hoc' ait 'utendum est in me mihi, quique cruore
saepe Phrygum maduit, domini nunc caede madebit,
ne quisquam Aiacem possit superare nisi Aiax'
dixit et in pectus tum demum vulnera passum,
qua patuit ferrum, letalem condidit ensem.
nec valuere manus infixum educere telum:
expulit ipse cruor, rubefactaque sanguine tellus
purpureum viridi genuit de caespite florem,
qui prius Oebalio fuerat de vulnere natus;
littera communis mediis pueroque viroque
inscripta est foliis, haec nominis, illa querellae.
Ovidio, Metamorfosi, XIII, 394
Colui che da solo aveva resistito ad Ettore, che tante volte aveva resistito al ferro e al fuoco e a Giove stesso, Aiace, ad una sola cosa non resistette, all'ira; fu il dolore a vincere l'invitto guerriero. Sguainò la spada e "Almeno questa è certamente mia, - disse. - o Ulisse vorrebbe anche questa? Devo usarla contro me stesso: questa spada che tante volte grondò di sangue di Frigi, ora gronderà del sangue del suo padrone, perché solo Aiace può battere Aiace!" Così disse, e nel petto, che allora subì la prima ferita, nel punto in cui poteva cedere al ferro, si cacciò la lama mortale. Le mani non ce la fecero ad estrarre l'arma, tanto era conficcata: il sangue stesso la espulse, e la terra arrossata dal sangue generò da una verde zolla un fiore purpureo, lo stesso fiore che era nato dalla ferita dell'Ebalide. In mezzo ai petali sono scritte lettere comuni al ragazzo e al guerriero: a questo, indicano il nome, a quello un lamento.

La memoria di Ovidio si rinnova ogni volta che nasce un giacinto, perché proprio un giacinto è il fiore nato dalla ferita dell'Ebalide, il ragazzo spartano Giacinto (Ipse suos foliis gemitus inscribit, et AI AI/flos habet inscriptum, Metamorfosi, X, 215), ed è quindi sui suoi petali che si può continuare a leggere ahi, ahi, il lamento di Aiace (in greco il lamentarsi, αἰάζειν, consente un perfetto gioco di parole con Aiace, cui Ovidio può solo accennare di striscio).


Ecco. Il mio cerchio si sta per chiudere, ma non lo fa sui giacinti, perché, anche se le automobili di Monaco mi hanno effettivamente fatto pensare al giacinto di Ovidio passando per la stella della Mercedes di Müller, l'esperienza solitaria di Heiner-Aiace, la vergogna e l'assenza di vergogna, e anche la dignità e l'assenza di dignità, grazie ai tre quarti d'ora di tragitto silenzioso regalatomi dalla S-Bahn, non è su questi fiori che ho smesso di procedere per associazioni.

A questo punto, però, i pensieri mi si sono suddivisi in rivoli che, pur avendo un nocciolo comune, mi è difficile ricomporre.

Da una parte, la ricerca, nell'atto di rinascita italiano e tedesco dalle ceneri del nazifascismo, di una traccia in cui poter trovare condensato, esattamente come in una metamorfosi, il proprio passato e al contempo una base fondante del proprio futuro, traccia che a me pare di poter riconoscere, seppure espressa in modo diverso, nei rispettivi articoli 1 della Costituzione, in cui, implicitamente o esplicitamente, indirettamente o direttamente, per come la vedo io, riaffiora una parola per cui sono già passata, la parola dignità. Conoscendo il passato dei due Paesi, si tratta di articoli densissimi.
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
Die Würde des Menschen ist unantastbar. Sie zu achten und zu schützen ist Verpflichtung aller staatlichen Gewalt (La dignità dell'uomo è intangibile. Rispettarla e proteggerla è dovere di ogni potere statale).
Dall'altra parte, ancora due metamorfosi, entrambe apparentemente diverse da quelle di Ovidio, ma a queste pur sempre accomunate da un'esigenza di memoria e di continuità.

La prima, concretissima e semplice, è passata attraverso le mani di mio nonno, che non ha mai espresso a parole alcun sentimento di affetto a nessuno dei suoi sei nipoti, ma le cui mani nel tempo hanno piantato, in fondo al campo dietro casa, per ogni nipote nato, un albero. A vederli adesso nella loro concretezza e semplicità di alberi, sono altissimi, anche quelli piantati per ultimi. A vederli bene adesso, vi si possono ritrovare concretamente le azioni e i gesti essenziali di tutte le persone che vi stanno dietro, mio nonno, mia nonna, i loro figli, i loro nipoti e così via. A vederli bene adesso, poi, se ne contano sette.

La seconda è ancora una volta letteraria, ma non si conclude con un albero o un fiore: inizia con un fiore al quale penso spesso, tutte le poche volte che si parla di Cecenia (e di altri Paesi dimenticati), tutte le pochissime volte che se ne parla senza passare per la cronaca di attentati a Mosca, e tutte le numerose volte che non se ne parla affatto.

Я возвращался домой полями. Была самая середина лета. Луга убрали и только что собирались косить рожь.

Tornavo a casa per i campi. Era piena estate: i prati erano già falciati e si cominciava a tagliare la segale.
In questo periodo dell'anno la natura offre una squisita varietà di fiori: rossi, bianchi, rosa; profumati e teneri trifogli; margheritine insolenti; "m'ama-non-m'ama" bianchissimi col cuore giallo e un intenso puzzo di fradicio; gialle colze dal profumo di miele; altre campanule viola e bianche; fiori di pisello rampicanti; ordinate scabiose gialle, rosse, rosa, viola; piantaggine dalla peluria leggermente rosata e dal profumo gradevole ma quasi impercettibile; fiordalisi appena fioriti, scintillanti al sole di color turchino o sfumati d'azzurro e di rossiccio la sera, e prima di appassire; e quei teneri fiori di vilucchio, dal profumo di mandorla, tanto rapidi nell'avvizzire.
Raccolsi un gran mazzo di fiori diversi. Mi stavo incamminando verso casa, quando scorsi un cardo d'un rosso vivo, in piena fioritura; di quel tipo particolare che da noi chiamiano "il tartaro" e che il contadino falcia con grande cautela e poi getta via per non pungersi le mani quando raccoglie il fieno. Mi venne l'idea di strappare il cardo e di infilarlo nel mazzo. Scesi nel fossato e cacciando via un peloso calabrone che s'era infilato nel fiore e sonnecchiava dolcemente e mollemente, tentai di coglierlo, ma era difficilissimo: non solo il gambo pungeva da ogni parte, anche attraverso il fazzoletto col quale mi fasciai la mano, ma era così tenace che spesi cinque minuti a lacerare le fibre, una per una.
Quando finalmente lo divelsi il gambo era tutto sfilacciato e anche il fiore non pareva più così fresco e bello. E poi, rozzo e goffo com'era, non si addiceva ai teneri fiori del mazzo. Peccato, lo avevo distrutto inutilmente: al suo posto, invece, spiccava bellissimo. Lo gettai via. Però che energia e che forza vitale, pensai, ricordando quanta fatica m'era costato strapparlo. Come s'era tenacemente difeso e come aveva venduto a caro prezzo la propria vita!
Il mio sentiero attraversava un campo di terra grassa, maggese e appena arata. Era leggermente in salita e io camminavo fra la polvere della terra grassa. Il campo, di un unico proprietario, era molto vasto, tanto che a destra e a sinistra e di fronte non si vedeva altro che nero maggese, non ancora erpicato.
Il maggese era buono e non si scorgeva, in tutto il campo, un filo d'erba. Era una distesa tutta nera. "Com'è distruttivo e crudele l'uomo, quanti organismi viventi, quante piante ha distrutto per la conservazione della propria vita", pensavo, cercando istintivamente qualcosa di vivo in mezzo a quel campo morto e buio. Più avanti, sulla destra del sentiero, spuntava un cespuglio. Quando mi avvicinai riconobbi i "tartari", fiori uguali a quello che avevo strappato e gettato via senza motivo.
Il cespuglio di "tartari" era formato di tre fiori. Uno era strappato e il gambo rotto sporgeva come un braccio monco. Gli altri due erano intatti. Rossi poco tempo prima, ora erano neri. Un gambo era rotto e il fiore pendeva, sporco, l'altro, nonostante fosse imbrattato di terra nera, si ergeva dritto. Evidentemente il cespuglio era stato calpestato da una ruota e si era risollevato: perciò si ergeva tutto sghembo, ma si ergeva. Come un essere cui avessero lacerato una parte del corpo, avessero rovesciato le budella, avessero staccato un braccio, avessero strappato gli occhi, e tuttavia non cedesse a chi gli aveva annientato tutti i fratelli.
"Che forza straordinaria" pensai. "L'uomo l'ha avuta vinta su ogni cosa, ha distrutto milioni di erbe, ma lui, "il tartaro", non cede".
E mi tornò alla memoria una vecchia storia del Caucaso che in parte ho vissuto, in parte mi fu riferita da testimoni oculari e in parte ho immaginato. Una storia, così come è nata dal mio ricordo e dalla mia immaginazione. Eccola.
Lev N. Tolstoj, Chadži-Murat, BUR 1994, traduzione di Milli Martinelli
*

Aiace, per esempio

La pillola magica è solo un trucchettino
Ajax pulisce ogni lavandino
Detto popolare

Nelle librerie si accumulano
I bestseller letteratura per idioti
A cui la televisione non basta
O il cinema che rincretinisce più lentamente
Io dinosauro non di Spielberg sto seduto
Riflettendo sulla possibilità
Di scrivere una tragedia Santa Ingenuità
Nell'albergo a Berlino capitale irreale
Il mio sguardo dalla finestra cade
Sulla stella della Mercedes
Che nel cielo notturno gira malinconica
Sull'oro dei denti di Auschwitz e altre filiali
Della Deutsche Bank all'Europacenter
Europa Il toro è macellato la carne
Marcisce sulla lingua il progresso non tralascia nessuna mucca
Gli dei non ti visiteranno più
Quel che ti resta è l'ahimè di Alcmena
E la puzza di carne che brucia che ogni giorno
Dai tuoi bordi il vento apolide ti porta
E talvolta dalle cantine del tuo benessere
Bisbiglia la cenere canta la farina delle ossa
Una scritta luminosa sul Kurfürstendamm annuncia al mondo
PETER ZADEK MOSTRA I DENTI A BERLINO
BEWARE OF DENTISTS gli si vorrebbe dire
Nelle guerre dei contadini la più grande sciagura
Della storia tedesca leggevo scuotendo il capo
In stato d'innocenza millenovecentoquarantotto
Come può una rivoluzione essere una sciagura
Nelle note di Brecht su MADRE CORAGGIO
Si è strappato il dente canino alla Riforma
Oggi io posso scrivere il seguito Della
Rivoluzione francese nelle guerre napoleoniche
Della nascita prematura del socialismo nella Guerra Fredda
Da allora la storia balla di nuovo il tango
Un excursus su rivoluzione e odontoiatria
Scritto nel secolo dei dentisti
Due protesi dentarie un premio Büchner
Quello che finisce Quello che viene
Apparterrà agli avvocati il tempo
Sta come proprietà immobiliare in vendita
Nel grattacielo sotto la stella della Mercedes
Nei piani dell'amministrazione culturale
Che parole Chi amministrava Fidia
Un venditore di tappeti di Smirne secondo POLIDORO
Anche l'arte non vive di sola polvere
Accesa ancora la luce Fumano teste costrette dai tagli di spesa
Gli amputati provano l'andatura eretta
Con stampelle in vetroresina prestate
Sotto il controllo dell'assessore alle finanze
AL DENARO SPINGE DAL DENARO DIPENDE TUTTO
Faust sospira nel sarcofago di Goethe a Weimar
Con la voce rotta di Einar Schleef
Che prova i suoi cori nel cranio di Schiller
lo dinosauro nel fruscio dell'aria condizionata
Anch'io torchiato dalle tasse fino al collo
La violenza dello Stato promana dal denaro Il denaro
Deve comprare Il lavoro rende non liberi Casa
È dove arrivano le fatture dice mia moglie
Leggo Sofocle AIACE per esempio Descrizione
Di un esperimento su animali tragedia ingiallita
Di un uomo col quale una dea lunatica
Gioca a mosca cieca davanti a Troia nell'abisso dei tempi
Arnold Schwarzenegger in DESERT STORM
Per farmi capire dai lettori odierni
IO AIACE VITTIMA DI DUPLICE INGANNO
Un uomo a Stalinstadt circoscrizione Francoforte sull'Oder
Alla notizia del cambiamento del clima politico a Mosca
Staccava muto dalla parete il ritratto dell'amato
Guida della classe operaia del comunismo mondiale
Calpestava l'immagine del dittatore morto
Si impiccava al gancio liberato
La sua morte non valeva una notizia Una vita
Per il distruggidocumenti NESSUNO O TUTTI
Era il programma sbagliato per tutti non basta
L'ultimo obiettivo di guerra è l'aria da respirare
Oppure KAULICH liberato dall'Armata Rossa
Dal gulag di Hitler che dopo una marcia di quattro giorni sente
Gridare sua moglie da una finestra distrutta
Vede un soldato della gloriosa Armata Rossa
Che la butta sul letto dimentica l'ABC
Del comunismo e fracassa al compagno liberatore
Il cranio Compie autocritica parlando col morto
Senza badare alla donna che grida ancora
Viene visto l'ultima volta trasportato
Verso il gulag di Stalin sua seconda epifania
Canta l'internazionale nel carro bestiame
Se è morto canta ancora oggi
Con i comunisti morti sotto il ghiaccio
La felicità della scrittura degli anni Cinquanta
Quando si era nelle buone mani del Blankvers
Tra le assi della nave fantasma che si capovolgeva
Protetti dal pathos ironico della rima baciata
Solo le arsi si contano
Contro la caduta massi dei monumenti
Nell'eternità dell'attimo
Nella miseria dell'informazione BILD LOTTA PER VOI
Il racconto diventa prostituzione BILD LOTTA
La tragedia esala l'anima Stalin per esempio
Da quando i suoi totem sono in vendita
Sangue coagulato in latta per medaglie
Alla porta di Brandeburgo per i nipoti di Hitler
Quale testo devo mettergli in bocca
O ficcargli sul muso a seconda del punto di vista
Nel recinto dei suoi denti gialli
Nella sua caucasica dentatura da lupo
Nella sua notte al Cremlino aspettando Hitler
Quando Lenin ammutolito appare nella Vodka
Balbettante e sbraitante dopo il secondo ictus
Il motore del mondo cui la sua lingua
Non vuole più obbedire LENINDADA
Il suo mondo un quadrato di Malevič
Il tartaro che non comprende più
La legge della steppa diventato romano fuori tempo
Che l'esecutore ha nel sangue il caucasico
O Trotzki l'ascia del Macbeth ancora nel cranio
Il pugno chiuso nel saluto bolscevico
Nella torretta dei panzer tedeschi Amleto l'ebreo
O Bucharin che canta nella cantina
Il preferito del partito figlio dell'AURORA
Con Hitler forse può parlare da uomo a uomo
O da bestia a bestia a seconda del punto di vista
Il becchino col duce dei morti
Dopo dieci anni di guerra Troia era matura per il museo
Un oggetto di archeologia
Solo una cagna ulula attorno alla città
Sulle ossa dei vendicatori fondava Roma
Il prezzo una donna in fiamme a Cartagine
Madre degli elefanti di Annibale
Roma allattata dalla lupa che è erede del vincitore
La Grecia una provincia da cui si estraeva cultura
3000 anni dopo la sanguinosa
nascita della democrazia con bagno rete ascia
AH NOTTE MADRE NERA nella casa degli Atridi
Il forcipe condotto da Atena nata dalla testa
Striscia la terza Roma gravida di disgrazie
Dopo Betlemme nella sua prossima forma
La sbornia delle vecchie immagini La stanchezza
Alle spalle l'infinito mormorio
Del programma televisivo DA NOI SEDETE
IN PRIMA FILA La difficoltà
Di difendere il verso contro lo staccato
Della pubblicità che invita a tavola i voyeur
DACCI OGGI IL NOSTRO ASSASSINIO QUOTIDIANO
Dai miei ricordi affiora un titolo
LA PRIMA FILA rapporto sulla morte in Germania
Comunisti caduti in guerra contro Hitler
Giovani come gli incendiari di oggi poco
Sapendo forse come gli incendiari di oggi
Sapendo altro e altro non sapendo
Succubi di un sogno che rende soli
Nel traffico circolare della merce con la merce
I loro nomi dimenticati e cancellati
Nel nome della nazione dalla memoria
Della nazione qualunque cosa sia o possa diventare
Nella miscela attuale di violenza e oblio
Nel freddo dello spazio senza sogni
IO AIACE CHE SPARGE IL SUO SANGUE
CURVATO SULLA SUA SPADA SULLA SPIAGGIA DI TROIA
Nel fruscio bianco
Tornano gli dei dopo la fine dei programmi
Brucia la nostalgia della rima pura
Che trasforma il mondo in deserto il giorno in sogno
Le rime sono battute nello spazio einsteiniano
L'onda della luce non sceglie la schiuma
Il monumento di Brecht è un prugno spoglio
E così via quanto restituisce
La lingua o il lessico del rimario tedesco
L'ultimo programma è l'invenzione del silenzio
IO AIACE CHE IL SUO SANGUE

Heiner Müller