domenica 4 dicembre 2011

Hinterland I-IV

La caduta di Anversa è una ferita aperta, per noi del 1915. Solo pochi di noi, però, quelli che vivono vicino alla frontiera con la Germania e l'Olanda, hanno visto velocemente allungarsi verso nord, a partire dall'aprile di quest'anno, il reticolato ad alta tensione tedesco. Ormai si estende per oltre duecento chilometri: da Vaals su su fino alla costa, tra Knokke e Cadzand. L'hanno costruito per fermare il flusso di contrabbandieri, spie e fuggitivi verso la neutrale Olanda. I tedeschi, oggi, a noi belgi, ci chiamano così. In parte lo siamo.

Recinzione ad alta tensione al confine tra Belgio e Olanda durante la Prima Guerra Mondiale
Recinzione elettrica presso Beusdael
Una vittima della recinzione
Fuga attraverso la recinzione
Il filo spinato tra il Belgio e l'Olanda
Il filo a Essen, Belgio. Frans Bernaards/Karrenmuseum Essen
L'abbazia benedettina Achelse Kluis durante la Prima Guerra Mondiale. A sinistra l'Olanda
Foto: Archivio Achelse Kluis 
La recinzione elettrica. Lungo la recinzione erano distribuiti campanelli di allarme che entravano in funzione non appena la recinzione veniva toccata. Una guardia di confine verifica con del materiale isolante il corretto funzionamento dei campanelli.
Albert Hahn, Al confine belga.
"Un belga che vuole scappare oltre il confine verso l'Olanda rimane appeso al filo elettrico e ucciso dalla corrente". (Cronaca di ogni giorno)
Alle vittime belghe-alleate che perirono qui per il filo elettrico. 1914- 1918. Eretto dal Conte J. d'Oultremont nel 1920. Mutilato dai nazisti nel '40-'45. Restaurato nel 1962. Sippenaeken, Belgio.
Ricostruzione, nel marzo del 2010, della recinzione ad opera della comunità fiamminga di Kinrooi

Prikkeldraad significa tensione fino a 2000 V, molti morti (500? 3000?), non solo nella nostra comunità, ma anche tra i prigionieri russi costretti a costruire la ferrovia Aquisgrana-Gemmenich, e persino tra i tedeschi: le sentinelle, per disattenzione, i soldati, cercando di disertare. Un giorno, ce ne dimenticheremo quasi tutti, salvo, forse, un professore di grammatica francese ed un poeta. Ce l'ha detto il nostro Tiresia. Ogni paese ne ha uno.


Hinterland I

und dein Genick geschabt vom Mantelkragen: Kälte
zieht im Handlauf dich hinab vom Turm. Der Abgrund

eben, die Oberfläche Wort und winterhart
die Buchstaben durchkreuzt von deinen Nerven: Spurrillen

der Kufen. Im Nachgang Stiefelschritt und Schneefegen
dein Metronom, feinstes Pinseln über Kuppen

wie atmendes Gelände. Du horchst ihm nach, zermalmst es
fort auf Knochenlänge, knirschend: Aus dem Schallschatten

erweckt Geläut und Läutewerk, Alarm, bis eine Biegung
weiter stille Schlitten Pferde aus dem Schlaf entlassen

jenseits des motorisierten Lichts. Stacheldraht siehst du,
prikkeldraad im nächsten Schritt, die Landschaft

eine Tür. Doch die Bedeutung der Tür ist irrelevant,
egal wohin sie führt, nur dein Überraschtsein

gibt ihr Sinn. Dein Kragen schabt. Orangefarben
steht über dir der kleine Kreis: leichte Wärme, Wunde,

Himmel. Zwischen Wort und Bild, denkst du,
liegt ein Scharnier. Oder eine Ewigkeit.


II

und Wintersonne: dein Schatten Sturmholz
auf der Suche nach Bestand. Schellack schwingt

im Baumharz mit. Der Weiher dreht sich um, gespurtes
Weiß: Ein Schlittschuh fährt ins Sütterlin. Das Wunder

auf dem Weihnachtsteller heißt Orange, wie Großmutters
Kinderauge rund und wie die Erde blau. Ein Surren speist sich

ein in die Orangenhaut, eingepflockt im Takt der Zäune:
Stacheldraht, Elektro-, Stachel-. Dich fliegen Bilder an

in Parallelverläufen: Bei großer Geschwindigkeit
entsteht vor dem Objekt eine Stauung

stark komprimierter Luft. Du hockst vor dem Transistor.
Die Skala längs der Wachstumsstreifen, die Schallmauer

durchbrochen: Deine Frage geht aufs Karussell,
ob Krieg, ob Frühling einmarschiere in die goldene

Stadt. Die Farben fliehen wieder vor den Dingen,
und das Gelb der Forsythie wird zu einer Behauptung,

die zu beweisen wäre vom Frühling, der seine Farben
verschweigt, wie das Gelb die Forsythie.


III

und die Sprachbindung spult weiter: Draht und
Defekt. Den Gartenzaun wolltest du flicken. Ein Projekt

aus dem Sommer, nun eingefroren wie das Bild
vom Dunkelhellila der Aster. Daneben

Knirschen, Kiesweg, und vorbei am Dunkelhellila
klatscht der Aven seinen Gesang

gegen stetes Gestein, vorbei an Gauguin
und den Wäscherinnen, die immer noch atmen

im Licht der Kunst und das Flußbett wenden,
gerät ins Stocken die Rede vom elektrischen

Wunder: Stromsperre, Störung, Streckenmeister.
Dein Kopf rückt vor ins Sperrgebiet,

mit einer Fernsprechstelle frisch verbunden:
Standlaute, die Tonspuren ziehen Drahter.

Windig meldet sich das Feld von seiner Jagd, 
und bildlich für die Atempause spricht ein Schluck

Stacheldraht: Der Hals des armen Mannes
ist zu den Nackenwirbeln durchgebrannt am Zaun.


IV

und plötzlich ausgelöst das Weiß vom Fichtenzweig:
Symphonisch nadeln die vier Jahreszeiten, nur

die Bewegung Wiege. Dein Kragen schabt. Die Spurrille
im Nacken, Patrouillengänge in den Venen, Nachträge

zu Clausewitz. Die Koppel im vereisten Licht:
Dampf steigt auf und Pferdeäpfel, hundert Kilo

zu elf Mark in Lüttich, gehen mit Aprilthesen
synchron durch die Schnittstelle Subjekt. Wie ausgebeint

erscheint das Brombeerwerk im Grenzverlauf,
keramisch der Gedächtnissprung im Bruchstück

Isolator. Schnee trägt deine Schritte fort
und Übergänge, bewahrt beim Öffnen seiner Silbe

noch einmal auf die Zeichen für die Rückkehr der Vögel.
Du stehst schon an der nächsten Biegung: Schneebruch,

Stimmbruch, zahnschmelzweiß die schmale Naht
der Wachstumsstreifen. Ein Leib aus Dunkelheit

zieht auf. Neuschnee bricht vom Himmel,
legt den Schall zurück in seinen Schatten.

Jürgen Nendza, 2004


Retroterra I

e la tua nuca grattata dal bavero del cappotto: una corrente gelida
nel corrimano ti porta giù dalla torre. L'abisso

appunto, la superficie parola e resistente al freddo
incrocia le lettere dei tuoi nervi: solchi

di pattini. Poi passo di stivali e neve spazzata
il tuo metronomo, la pennellata più fine sulle cime

come terreni che respirano. Ti metti ad ascoltarlo, continui
a sminuzzarlo a lunghezza d'osso, scricchiolando: dall'ombra sonora

emergono scampanellio e campanello, allarme, finché ad una curva
più oltre silenziose slitte congedano cavalli dal sonno

al di là della luce motorizzata. Vedi del filo spinato,
un passo dopo prikkeldraad, il paesaggio

una porta. Eppure il significato della porta è irrilevante,
non importa dove conduce, solo il tuo essersorpreso

le dà senso. Il tuo bavero gratta. Arancione
ti sta sopra il piccolo cerchio: leggero calore, bruciore,

cielo. Tra parola e immagine, pensi,
c'è una cerniera. O un'eternità.


II

e sole invernale: la tua ombra, legno imbevuto di tempesta
alla ricerca di continuità. La gommalacca risuona

nella resina degli alberi. Lo stagno si rivolta, color bianco
tracciato: un pattino ripercorre l'antico corsivo. La meraviglia

sul piatto natalizio si chiama arancia, rotonda come gli occhi infantili
di nonna blu come la Terra. Un ronzio si carica

nella buccia dell'arancia, impiantato nel ritmo delle recinzioni:
filo spinato, elettro-, fili-. Ti si avvicinano in volo immagini

in scenari paralleli: ad alta velocità
si genera davanti all'oggetto un accumulo 

di aria molto compressa. Stai rannicchiato davanti al transistor.
La scala lungo le smagliature, il muro sonoro

forato: la tua domanda sale sulla giostra,
la guerra, la primavera marceranno sulla città

dorata? I colori sfuggono di nuovo davanti alle cose,
e il giallo della forsizia diventa un'affermazione

che spetterebbe alla primavera provare, a lei che sottace
i propri colori, come il giallo la forsizia.


III

e il legame linguistico continua ad avvolgersi: filo di ferro e
difetto. Volevi riparare la rete del giardino. Un progetto

estivo, ora congelato come l'immagine
del viola pallido dell'astero. Accanto

scricchiolio, sentiero di ghiaia, e passando oltre il viola pallido
la cavità carsica schiocca il proprio canto

contro la roccia stabile, passando oltre a Gauguin
e alle lavandaie, che ancora respirano

nella luce dell'arte e rivoltano il letto del fiume,
lo strumento in blocco il discorso della meraviglia

elettrica: interruzione di corrente, incidente, capo delle sentinelle.
La tua testa avanza nella zona interdetta,

da poco collegata ad un posto telefonico:
cablatori estraggono abbai a fermo, la base sonora.

Ventoso si presenta il campo della sua caccia, 
e figurativamente per la sosta del respiro parla un sorso

di filo spinato: il collo del pover'uomo
è bruciato sul recinto fino alle vertebre cervicali.


IV

e all'improvviso innescato, il bianco dal ramo di abete:
sinfonicamente perdono gli aghi le quattro stagioni, solo

il movimento una culla. Il tuo bavero gratta. Il solco
nella nuca, un andirivieni di pattuglie nelle vene, appendici

a Clausewitz. La biella nella luce gelida:
del vapore sale e dello sterco di cavallo, cento chili

a undici marchi a Liegi, se ne va con le Tesi di aprile
in sincrono attraverso la porta soggetto. Come sembra 

disossata l'opera delle more nel tracciato del confine,
di ceramica il balzo della memoria nel rottame

dell'isolatore. La neve asporta i tuoi passi
e i passaggi, aprendo le sue due sillabe ancora una volta 

custodisce i segni per il ritorno degli uccelli.
Sei già alla curva successiva: schianto da neve,

muta vocale, bianco di smalto di denti la sottile saldatura
delle smagliature. Dall'oscurità un corpo

si avvicina. Altra neve erompe dal cielo,
ripone il suono nella propria ombra.

Il filo elettrico veniva chiamato in molti modi, tra cui de verdoemde draad (il filo maledetto), dood-grens (confine della morte) e de Duivels-draad (il filo del diavolo). La storia del filo è stata studiata da un professore belga di grammatica e linguistica francese, Alex Vanneste, il nonno della cui moglie, che era stato, durante la Grande Guerra, contrabbandiere e spia, lo aveva attraversato più volte. Il filo elettrico venne costruito a spese e con la forza lavoro delle comunità belghe attraversate dalla barriera (articolo de die Zeit, articolo de Le Soir, articolo di Le Soir, articolo di Alex Vanneste corredato da molte foto).
La terre est bleue comme une orange, così scriveva Paul Eluard nel 1929.
Il viola pallido dell'astero è tratto dalla poesia del 1912 Kleine Aster di Gottfried Benn.
Ho riconosciuto solo questi due rimandi poetici, ma non è escluso - anzi - che ve ne siano degli altri.
Foto 1: Gerhard Hirschfeld, Enzyklopädie Erster Weltkrieg, UTB, 2008, Foto 2-4: grenzegeschichte.euFoto 5: Museum TongerlohuysFoto 6, 7: wereldoorlog1418.nlFoto 8: forumeerstewereldoorlog.nlFoto 9: forumeerstewereldoorlog.nlFoto 10: grenzegeschichte.euFoto 11: hbrouns.cdenv.be

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