Che mi si creda o meno, è da quando ho cominciato a leggere il suo blog, ad agosto dell'anno scorso, che penso al modo in cui potrei presentarvi Giovanni. Stasera ho realizzato che se continuo a pensare troppo al modo migliore per farlo, finisce poi che non lo faccio proprio più. Sono quindi disposta ad accettare tutte le imperfezioni del modo che vorrà emergere da questa bella serata di domenica di maggio, sperando che potrà accettarle pure lui.
Che mi si creda o meno, ci sono alcune coincidenze, che credo lui ancora almeno in parte ignori, di per sé banali, ma che in qualche modo ci accomunano e che sono per me fonte di positivo, gioioso confronto: non di sfida, che non mi interessa, di semplice confronto, e quindi di necessaria e sana autocritica. Mi limito ad esplicitare le più evidenti e macroscopiche, dalle più remote alle più vicine nel tempo: la nostra età differisce di qualche mese, abbiamo votato entrambi la prima volta alle elezioni europee del
1989 e l'abbiamo fatto nello stesso modo, viviamo entrambi all'estero, abbiamo un debole per
Pinocchio, ci interessa la memoria e la scrittura come mezzo per elaborarla e conservarla, per quanto non senza una certa dose di disillusione e disincanto che non intacca il desiderio e la necessità di provarci comunque, e, non da ultimo, lunedì scorso, mentre tutti parlavano della morte di
bin Laden, entrambi, per molte ore, l'abbiamo ignorato perché entrambi stavamo volando.
Per rendergli davvero onore di quanto e di come scrive, dovrei analizzare a fondo i temi che affronta (nonostante un certo rigore nel percorso che sembra imporsi, non necessariamente confinati - come recita il sottotitolo del suo blog - a memoria e tecnologia) ma, soprattutto, il modo in cui lo fa, prima scomponendoli e poi ricomponendoli in un doppio percorso analitico e sintetico che finisce per offrire un quadro, una visione che non si ricompone mai nell'immagine iniziale. È qui che emerge uno dei talenti di Giovanni, da una parte nel suo apporto creativo basato su un metodo efficace, che avverto innato e spontaneo, dall'altra nella sua capacità di conquistare il lettore per un tempo ben più lungo di quello che è effettivamente impiegato per leggere i suoi scritti. Succede così che generalmente lo si legge il lunedì, ma è fino a domenica, in realtà, che si può continuare tranquillamente a ragionarci sopra. C'è poi un tocco finale, che del tutto probabilmente lui ignora, quello di indurre nel lettore la piacevole (per quanto erronea) sensazione che eventuali nuove conclusioni o - più spesso - nuove domande riescano ad emergere in modo autonomo ed originale: come a dire che leggere il suo blog tende ad aumentare sensibilmente l'autostima.
Per quando riguarda i temi, opto per passare ad offrirne un esempio concreto prendendo un suo post e riproponendolo qui senza il suo previo consenso, ma assumendomene pienamente responsabilità, eventuali rischi e contrappassi ed aggiungendovi, di mio, oltre che la mia personale, casalinga interpretazione del suo bellissimo, elegante inglese, solo un esergo. Nella versione originale, si chiamava
F-f-f-falling.
C-c-c-cadendo
E noi che la felicità la pensiamo
in ascesa sentiremmo la commozione,
che quasi ci atterra sgomenti,
per una cosa felice che cade.
Rainer Maria Rilke, Elegie Duinesi, Decima Elegia, vv. 110-113
Poesie, II, 1908-1926, Einaudi-Gallimard, 1995
Traduzione di Anna Maria Giavotto Künkler
A 6 minuti e 2 secondi di The Big Snooze (1946), Bugs Bunny e un travestito Taddeo escono dal sogno che stanno ambedue avendo ed iniziano a cadere.
E cadono
e cadono
e cadono.
Che spettacolo meravigliosamente snervante. Credo sia stata la Warner Brothers, piuttosto che la Disney, a perfezionarlo: la caduta libera prolungata
– per buoni quarantadue secondi, in questo caso – verso quella che si potrebbe chiamare una morte incerta. Perché si sapeva che dietro ci sarebbe stata una trovata, ma non sempre la salvezza. In Devil’s Feud Cake (1962), Yosemite Sam muore veramente quando raggiunge il terreno, mentre spesso alla fine di un cartone di Bip bip è difficile essere sicuri che Willie il coyote non si farà male. Un esempio per eccellenza è offerto da Gee Whiz-z-z-z-z-z-z (1956), in cui il coyote implora con successo che lo spettacolo finisca prima di raggiungere il fondo del dirupo.
Che ne direste di finire questo cartone prima che tocchi terra?
Ma quello che rende le più fantastiche scene di caduta prolungata così snervanti è il terrore esistenziale che attanaglia i personaggi dei cartoni mentre fissano quella che loro appare essere una morte reale. Quei quarantadue secondi in The Big Snooze sono saturi del tormento urlato di Taddeo, reso ancora più sconvolgente dalla nonchalance di Bugs, mentre la discesa in picchiata dell'aereo lunga un minuto di Falling Hare (1943) dà a questi abbastanza tempo per passare attraverso diversi stadi di sofferenza, inclusa la rabbia,
la depressione,
e l'accettazione.
Alla fine l'aereo finisce senza carburante, fermandosi stridendo a qualche centimetro da terra, e Bugs torna a fare lo spiritoso prima che 'That's All, Folks!' abbia il tempo di balenare sullo schermo, ma la rapida, sciocca soluzione non scioglie completamente la tensione, né fa dimenticare il tempo concesso a contemplare la fine della vita.
Ci si ritrova anche con un dilemma filosofico: i personaggi dei cartoni animati sono indistruttibili? Willie il coyote ovviamente prova dolore, cade con rassegnazione, ma senza apparente paura di morire. Farà un buco nel terreno e ne uscirà scalandolo, o butterà fuori un grande sbuffo di polvere di canyon e ritornerà nella scena successiva. Nello splendido Russian Rhapsody (1944), Hitler veramente cerca di accelerare la propria caduta libera per uscire da sotto un bombardiere in picchiata, e atterra sui propri piedi incolume solo per essere schiacciato dall'aereo. Ma quando Bugs precipita dal cielo, ha bisogno di un dispositivo, di una trovata o di uno stratagemma che lo fermi dal raggiungere il terreno in velocità. In The Big Snooze non ha paura perché ha con sé una bottiglia di tonico per capelli che ‘ferma la caduta delle lepri’. In Hare Lift (1951) e in Devil’s Feud Cake, tira un ‘aerofreno’ e l'aereo riesce miracolosamente a fermarsi. In High Diving Hare (1948) resta sospeso a mezz'aria e fa la battuta:
So che questo sfida la legge di gravità, ma, vedete, non ho mai studiato legge.
Maggiore è il pericolo, più stupido è l'effetto finale, o maggiore l'inganno. Chiaramente quello che contava per i realizzatori del film era la caduta di per sé, la possibilità di giocare con le aspettative degli spettatori e di creare una improbabile, quasi insopportabile suspense. Qualcuno sull'orlo del precipizio non era affatto una novità neanche allora. Harold Lloyd l'aveva traformata in una forma d'arte, soprattutto nel suo famoso Preferisco l'ascensore del 1923, da cui è tratta questa celebre immagine:
Lloyd, Keaton e Chaplin erano personaggi dei cartoni ante litteram, solo marginalmente meno elastici e in fin dei conti più distruttibili. Potevano resistere a un sacco di maltrattamenti fisici, ma non li si poteva semplicemente buttar giù da un aereo o da un edificio perché non ci sarebbe stato modo di salvarli. Nel 1988, Robert Zemeckis mischiò le cose facendo cadere Bob Hoskins da un edificio da cartone animato, in una lunga sequenza – di oltre un minuto – di esplicito omaggio a quei cartoni animati del tempo di guerra della Warner Brothers. E Joel ed Ethan Coen avevano pensato ovviamente ad entrambi i precedenti, e a quello di Harold Lloyd, nelle due scene di caduta di Mister Hula Hoop (1994). La prima, lunga quarantaquattro secondi, segue il salto suicida di Waring Hudsucker, l'amministratore delegato delle Industrie Hudsucker di fronte al suo consiglio di amministrazione, mentre nella seconda, che dura diversi minuti tra altre sequenze, il nuovo amministratore delegato Norville Barnes scivola dal cornicione dello stesso edificio e finisce per essere salvato dall'addetto alle pulizie, che incastra un manico di scopa tra gli ingranaggi del gigantesco orologio, fermando così il tempo.
Dal punto di vista formale, il film dei Coen era un cartone animato filmato, e in tal senso ricercato. Nel 2007 i realizzatori di Mad Men sono ritornati alla forma reale per metaforizzare stilisticamente il cadere e la caduta di Don Draper.
Ma quello che questi esempi recenti hanno in comune è che il dramma viene meno: il calcolo dietro lo spettacolo è sin troppo evidente, come le funi che sostengono l'artista di discesa con la corda ne L'uomo che cade di Don DeLillo, che rappresenta di nuovo quel fermo immagine iconico di un uomo che cade dalla Torre Nord del World Trade Centre.
Tuttavia all'epoca della farsa hanno complessivamente preso la caduta più seriamente. Harold Lloyd nel compiere le sue acrobazie che sfidavano la morte e nel rappresentare i ruggenti anni Venti come un decennio passato su un cornicione, Robert Clampett e i suoi compagni alla Warner Brothers mettendo in questione la marcia verso la vittoria della propaganda del tempo di guerra con i loro eroi e - assieme - farabutti in caduta interminabile e tortuosa dal cielo. Non solo immagini di cadute, ma immagini della Caduta, proprio quando le truppe sovietiche marciavano su Majdanek e poi Auschwitz e gli alleati su Buchenwald. C'è ovviamente la tentazione di leggere tutta l'arte di quell'epoca come una sinistra allegoria, col rischio di esagerare, ma d'altra parte sarebbe difficile sapere che altro fare della spiccata bizzarria di quei cartoni della Warner Brothers, del loro ossessivo oscillare tra la sciocchezza e la precisione.
A decenni di distanza viviamo in tempi finali diversi. Non cadiamo più a testa in giù, ma altrettanto inesorabilmente, e abbiamo bisogno di trovare delle immagini aggiornate, che calzino. A questo proposito trovo il titolo dell'ultimo romanzo di James Meek molto suggestivo: We Are Now Beginning Our Descent. La tirerà probabilmente per le lunghe, con ancora più spazio per la rabbia e per lo scendere a patti. E poi forse alla fine toccheremo il suolo dolcemente e in sicurezza, solo per aprire le porte della cabina su un mondo in cui non vivremo più.