To ξυλουργείο,
τo σιδηρουργείο,
το παντοπωλείο,
οι γαλότσες του γεωργού
στο χαγιάτι,
χαμηλή συννεφιά,
σαπουνόνερα,
κι η απροσδόκητη
γαλάζια πόρτα πεσμένη
στα χαλάσματα
με το κλειδί της
στη θέση του.
Γιάννης Ρίτσος
Αθήνα, 3.ΙΙΙ.85
Una porta
La falegnameria,
la ferramenta,
la drogheria,
gli stivali di gomma del contadino
sotto il portico,
nuvole basse,
schiuma di sapone
e, inaspettata,
una porta blu crollata
a terra tra le rovine
con la chiave
al suo posto.
Yiannis Ritsos
Atene, 3.3.85
Cfr., volendo.
martedì 27 maggio 2014
venerdì 16 maggio 2014
Ici existait au XIVème siècle
(La flaida, in triestino, è una vestaglia e, in senso lato, un vestito piuttosto lungo, largo ed informe. Parola indispensabile, almeno per me.)
(Ah, e poi el mato non è un matto, ma è solo un tizio. Meno indispensabile, ma da non sottovalutare: qualsiasi tizio è un mato, il che esclude categoricamente che qualcuno possa essere normale.)
(Ah, e poi el mato non è un matto, ma è solo un tizio. Meno indispensabile, ma da non sottovalutare: qualsiasi tizio è un mato, il che esclude categoricamente che qualcuno possa essere normale.)
"Ici existait au XIVème siècle l'église Sainte-Claire dans laquelle à l'aube du 6 avril 1327 Pétrarque conçut pour Laure un sublime amour qui les fit immortels"- dice, tra inspiegabili virgolette, una targa ad Avignone, che non ho cercato e che stavo persino rischiando di lasciare dietro di me, ignorandola per sempre.
Accortamene solo perché richiamata da E., che ben conosce la mia cronica predisposizione a leggere targhe (e insegne, indicazioni, piccoli annunci, avvisi di smarrimenti di felini, scarabocchi, etc.), ho varcato la porta dell'ex chiesa, per vedere che ne resta ora, tra un teatro e un giardino interno, che occupano gran parte del terreno - poco, pochissimo resta - e soprattutto per incrociare i miei passi con i loro, anche se un po' in ritardo, in un momento impercettibilmente sfasato, almeno rispetto alla scala del tempo della presenza dei dinosauri sulla terra. È tutto presente, letterariamente parlando, senza rughe o segni del tempo, è levigato, spianato, uniforme, compatto: Voglia mi sprona, Amor mi guida et scorge, Piacer mi tira, Usanza mi trasporta. Così come è presente la mia visita nella navata fattasi cortile di condominio di provincia, che ripasso ora, scrivendone, come se dovesse presentarsi da un momento all'altro il postino o il gatto dei vicini.
Avanzo lentamente, tra gli alberi e l'ingresso del teatro, più volte tornando indietro, verso la cappella, e canticchiando, ma molto internamente, tra fegato e milza, sull'aria di Munastero 'e Santa Chiara, tengo 'o core scuro scuro... con passo molto più rilassato e zigzagante di quello dritto e perentorio con cui Jack Lemmon entra nel monastero in Maccheroni. Guardo gli alberi, faccio un paio di foto, mi metto a pensare se Laura si sia scoperta il capo per sputare a terra, come fece Flamenca, solo qualche anno dopo. Propendo per il sì.
Rispetto alla stessa scala temporale dei dinosauri, appena qualche minuto fa stavo salendo per la prima volta un'altra scala, quella del mio liceo, intitolato allo stesso poeta e per questo ospitante una sua statua, di fattura approssimativa ma di fisionomia indiscutibile, collocata in cortile, nascosta alla strada ma ben visibile dalla scalinata interna, che ora percorro a fianco di un ragazzo con cui sto per condividere, fresco amico, anche se ancora non lo so, cinque lunghi anni della mia vita. Volge lo sguardo a sinistra, verso la vetrata, rallenta, cerca un interlocutore e trova me, cui decide di rivolgere le sue prime parole da quando ha parcheggiato il motorino sul marciapiede bucherellato da molti cavalletti prima del suo: "Ma chi xe quel mato cola flaida?"
Voglia mi sprona, Amor mi guida et scorge,
Piacer mi tira, Usanza mi trasporta,
Speranza mi lusinga et riconforta
et la man destra al cor già stanco porge;
e ’l misero la prende, et non s’accorge
di nostra cieca et disleale scorta:
regnano i sensi, et la ragion è morta;
de l’un vago desio l’altro risorge.
Vertute, Honor, Bellezza, atto gentile,
dolci parole ai be’ rami m’àn giunto
ove soavemente il cor s’invesca.
Mille trecento ventisette, a punto
su l’ora prima, il dí sesto d’aprile,
nel laberinto intrai, né veggio ond’esca.
Piacer mi tira, Usanza mi trasporta,
Speranza mi lusinga et riconforta
et la man destra al cor già stanco porge;
e ’l misero la prende, et non s’accorge
di nostra cieca et disleale scorta:
regnano i sensi, et la ragion è morta;
de l’un vago desio l’altro risorge.
Vertute, Honor, Bellezza, atto gentile,
dolci parole ai be’ rami m’àn giunto
ove soavemente il cor s’invesca.
Mille trecento ventisette, a punto
su l’ora prima, il dí sesto d’aprile,
nel laberinto intrai, né veggio ond’esca.
*
Era il giorno ch’al sol si scoloraro
per la pietà del suo factore i rai,
quando i’ fui preso, et non me ne guardai,
ché i be’ vostr’occhi, donna, mi legaro.
Tempo non mi parea da far riparo
contra’ colpi d’Amor: però n’andai
secur, senza sospetto; onde i mei guai
nel commune dolor s’incomminciaro.
Trovòmmi Amor del tutto disarmato
et aperta la via per gli occhi al core,
che di lagrime son fatti uscio et varco:
però al mio parer non li fu honore
ferir me de saetta in quello stato,
a voi armata non mostrar pur l’arco.
*
Benedetto sia ’l giorno e ’l mese e l’anno
e la stagione e ’l tempo e l’ora e ’l punto
e ’l bel paese e ’l loco ov’io fui giunto
da’ duo begli occhi che legato m’ànno;
e benedetto il primo dolce affanno
ch’i’ebbi ad esser con Amor congiunto,
e l’arco e le saette ond’i' fui punto,
e le piaghe che ’nfin al cor mi vanno.
Benedette le voci tante ch’io
chiamando il nome de mia Donna ò sparte,
e i sospiri e le lagrime e ’l desio;
e benedette sian tutte le carte
ov’io fama l’acquisto, e ’l pensier mio,
ch’è sol di lei; sì ch’altra non v’ha parte.
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;
e ’l viso di pietosi color’ farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’ésca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?
Non era l’andar suo cosa mortale,
ma d’angelica forma, et le parole
sonavan altro, che pur voce humana:
uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch’i' vidi; et se non fosse or tale,
piagha per allentar d’aro non sana.
mercoledì 14 maggio 2014
" au moins 14 éléments "
Hollande non è in possesso di prove dell'uso di armi chimiche da parte del regime siriano, si diceva. Dispone però di qualche elemento, che non fornisce. Nemmeno il ministro degli esteri, Laurent Fabius, fornisce qualcuno degli elementi noti al potere francese, perché il gas cloro evapora velocemente, dicono. Ciò nonostante, Fabius è in grado di quantificarne il numero con precisione: sono 14, almeno 14, raccolti da mani veloci, più veloci delle molecole gassose in fuga nell'atmosfera. Le armi convenzionali lasciano tracce meno volatili dei gas. Tuttavia, le armi convenzionali non destano nella stessa misura l'interesse di Fabius, e nemmeno il nostro, a dire il vero, e quindi non si contano, perché contano meno dei posti di lavoro nell'industria militare francese: sono almeno 165000, senza l'indotto.
Klasyk
Wielkie drewniane ucho zatkane watą i nudziarstwami Cycerona. Wspaniały stylista - mówią wszyscy. Nikt już
dzisiaj takich długich zdań nie pisze. I co za erudycja. W kamieniu nawet umie czytać. Tylko nigdy nie domyśli się,
że żyłki marmuru w termach Dioklecjana to są pęknięte naczynia krwionośne niewolników z kamieniołomów.
Zbigniew Herbert
Il classico
Un enorme orecchio di legno otturato da ovatta e dalle ciarle di Cicerone. Uno stilista meraviglioso, dicono tutti. Oggi nessuno scrive periodi così lunghi. E che erudizione. Sa leggere perfino in una pietra. Solo che non immaginerà mai che le vene del marmo delle terme di Diocleziano sono i vasi sanguigni spaccatisi agli schiavi delle cave.
Etichette:
-linguaggio della memoria,
-polacco,
*Leopoli,
Herbert
lunedì 12 maggio 2014
puisque les arbres sont en fleurs
Mon cher Theo,
je suis dans une rage de travail puisque les arbres sont en fleurs et que je voulais faire un verger de Provence d’une gaieté monstre.
je suis dans une rage de travail puisque les arbres sont en fleurs et que je voulais faire un verger de Provence d’une gaieté monstre.
Vincent Van Gogh al fratello Theo, Arles, 3 aprile 1888
Mio caro Theo,
sono in pieno furore lavorativo, perché gli alberi sono in fiore e volevo fare un frutteto provenzale di una gioia mostruosa.
Etichette:
-francese,
-linguaggio delle immagini,
*Arles,
Van Gogh
mercoledì 7 maggio 2014
Άξιζε να υπάρξουμε για να συναντηθούμε
Tsipras, che potrebbe diventare presidente della Commissione europea, se solo i cittadini europei lo volessero, cita spesso un verso di Ritsos. Credo di averlo trovato:
Άξιζε να υπάρξουμε για να συναντηθούμε
Valeva la pena di esistere per incontrarci.
Musica.
Yiannis Markopoulos
Απλώνουμε τα χέρια στον ήλιο στον ήλιο
και τραγουδάμε και τραγουδάμε.
Το φως κελαηδάει, άιντε κελαηδάει
στις φλέβες του χόρτου και της πέτρας.
Άξιζε να υπάρξουμε για να συναντηθούμε.
Αγαπούμε τη γη, τους ανθρώπους και τα ζώα.
Τα ερπετά, τον ουρανό και τα έντομα.
Είμαστε, είμαστε κι εμείς όλα μαζί.
Μαζί κι ο ουρανός και η γη.
Απλώνουμε τα χέρια στον ήλιο στον ήλιο
και τραγουδάμε και τραγουδάμε.
Ο ήλιος με φωνάζει, ο ήλιος με φωνάζει.
Χαρά, χαρά. Δε μας νοιάζει τι θ’ αφήσει
το φιλί μας μες στο χρόνο και στο τραγούδι.
Γιάννης Ρίτσος
Stendiamo le mani al sole al sole
e cantiamo e cantiamo.
La luce trilla - davvero - trilla
nelle vene dell'erba e della pietra.
Valeva la pena di esistere per incontrarci.
Noi amiamo la terra, gli uomini, gli animali.
I rettili, il cielo e gli insetti.
Siamo, anche noi siamo una cosa sola.
Una cosa sola col cielo e la terra.
Stendiamo le mani al sole
e cantiamo e cantiamo.
Il sole mi chiama, il sole mi chiama.
Gioia, gioia. Non ci interessa cosa lascerà
il nostro bacio nel tempo e nel canto.
Etichette:
-greco,
-linguaggio della musica,
Ritsos
lunedì 5 maggio 2014
I mastini dell'oclocrazia - 2
Se non superato,...
E di continuare...
Perché...
E perché...
Anche perché...
Il che...
Cioè, le...
Ilvo Diamanti si rammarica della perdita del contatto diretto tra politici ed elettori, della fine della politica svolta sul territorio (brutta parola del presente), della vittoria totale della televisione sulle altre forme di comunicazione in campagna elettorale. Pur non arrivando ai vertici stilistici irraggiungibili di Ferruccio de Bortoli, se ne rammarica ricorrendo ad un monoproposizionalismo dal fiato cortissimo, enfisemico, che eleva costantemente tutte le subordinate a principali, oltre ogni ragionevole e sana paratassi, in un mondo linguistico dove regnano incontrastate monostruttura, monoflusso, monoritmo e - forse - monopensiero, instrinsecamente inadatto alla varietà, alla molteplicità e alle sfumature della realtà e alla conseguente esigenza di articolarne la descrizione: in poche parole, perfettamente televisivo.
Etichette:
-italiano
domenica 4 maggio 2014
Auf dem Sterbebett
Ich will gar nichts mehr, ich will anfangen zu spielen.
Günter Eich, 16.12.1972
Sul letto di morte
Non voglio più niente, voglio cominciare a giocare.
Günter Eich, 16.12.1972
Sul letto di morte
Non voglio più niente, voglio cominciare a giocare.
Le faiseur
Et qui arrive à dire, arrive à faire, n'est-ce pas ? Eh bien ! Je
ferai tout ce qui pourra me sauver, car (il tire une pièce de cinq
francs) voici l'honneur moderne !... Ayez vendu du plâtre pour
du sucre, si vous avez su faire fortune sans exciter de plainte,
vous devenez député, pair de France ou ministre ! Savez-vous
pourquoi les drames, dont les héros sont des scélérats, ont tant
de spectateurs ? C'est que tous les spectateurs s'en vont flattés,
en se disant : — Je vaux encore mieux que ces coquins-là...
Mais moi, j'ai mon excuse. Je porte le poids du crime de Godeau.
Enfin, qu'y a-t-il de déshonorant à devoir ? Est-il un seul État
en Europe qui n'ait ses dettes ? Quel est l'homme qui ne meurt
pas insolvable envers son père ? Il lui doit la vie, et ne peut pas la
lui rendre. La terre fait constamment faillite au soleil. La vie,
Madame, est un emprunt perpétuel ! Et n'emprunte pas qui veut !
Ne suis-je pas supérieur à mes créanciers ? J'ai leur argent, ils
attendent le mien : je ne leur demande rien, et ils m'importunent !
Un homme qui ne doit rien ! mais personne ne songe à lui, tandis
que mes créanciers s'intéressent à moi.
Balzac, Le faiseur, Acte I, Scène 6, 1840
Serge Maggiani nel Faiseur di Emmanuel Demarcy-Mota
E chi riesce a dire, riesce a fare, vero? Ebbene! Farò tutto quello che potrà salvarmi, perché (tira fuori una moneta da cinque franchi)
ecco qua l'onore moderno!... Anche a vendere gesso spacciandolo per
zucchero, se avete saputo far fortuna senza incorrere in una denuncia,
diventate deputato, pari di Francia o ministro! Sapete perché i drammi
con dei farabutti, come protagonisti, hanno così tanti spettatori?
Perché tutti gli spettatori se ne possono andare compiaciuti, dicendosi:
"Sto ancora meglio di quei furbetti là..."
Ma io, ho una scusante, io. Porto il peso del crimine di Godeau. In fin
dei conti, che c'è di disonorevole ad essere indebitati? C'è un solo
stato in Europa che sia senza debiti? Quale uomo non muore in debito nei
confronti di suo padre? Gli deve la vita, e non può restituirgliela. La
terra fallisce di continuo ai danni del sole. La vita, signora, è un
perpetuo indebitamento! E non fa debiti solo chi vuole! Non sono
superiore ai miei creditori? Io ho i loro soldi, e loro aspettano i
miei: non domando loro niente, e loro vengono ad importunarmi! Se un
uomo non ha debiti, nessuno si cura di lui, mentre i miei creditori, ci
tengono, a me.
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