mercoledì 3 aprile 2013

Sei mesi fa perderemo

"Haben Sie von dem Brande in Mommsens Hause gelesen?"
"Ha letto dell'incendio in casa di Mommsen?"
Nietzsche a Peter Gast secondo Heiner Müller in Mommsens Block

In seguito all'involontaria, ma per lo meno colposa, distruzione dell'archivio di Daniel Mordzinski da parte di Le Monde, si potrebbe dire, come devono aver già espresso in molti, tutto il peggio possibile del quotidiano francese, che pare conservasse inconsapevolmente più di 50000 fotografie del fotografo argentino in un suo ufficio e che non sembra ora particolarmente brillante nell'offrire spiegazioni e scuse per l'accaduto, anzi, spiegando e scusandosi sembra concorrere a rendere ancora più imbarazzante - se possibile - la propria posizione (senza il minimo avallo da parte della direzione, non è mai esistito nessun accordo contrattuale, ecc.). Al di là del rammarico per la distruzione dell'archivio di una vita e al di là della solidarietà a Mordzinski, che andrebbe abbracciato senza troppe parole, si potrebbe anche dedicare qualche pensiero all'utilità degli archivi digitali. O piuttosto al concetto di responsabilità e ad una sua ripartizione, per quanto differenziata, tra tutti i  soggetti interessati, vale a dire Mordzinski stesso, Le Monde, la sua direzione e la sua amministrazione, i suoi servizi tecnici, gli addetti dell'impresa di traslochi cui il giornale deve aver affidato l'incarico di sgomberare il locale che ospitava l'archivio fino all'ottobre del 2012, El País e il suo corrispondente da Parigi, cui Le Monde aveva dato in prestito il locale. Oppure, ci si potrebbe domandare cosa siano davvero una ricchezza o un patrimonio culturale, per stabilire se e in quale misura abbiamo effettivamente subito una perdita. È principalmente su quest'ultimo aspetto che mi sento di scrivere qualche riga in questo momento in cui traspongo i miei pensieri in una forma pubblica ormai vetusta, destinata a scomparire, vuoi con un preavviso, in stile Google Reader, vuoi di schianto, come potrebbe succedere ad Internet con un virus ben congegnato e ben trasmesso, vuoi lentamente, ma senza eccessivi lamenti, come talvolta fa la democrazia.
Mi sembra di aver capito che tutte le fotografie andate irrimediabilmente perdute, oltre a non essere state conservate con la dovuta diligenza, sono andate perdute proprio in quanto non sono mai state né riprodotte né esposte al pubblico in nessuna forma. Se l'accessibilità e la fruibilità dell'archivio - condizioni prime di una sua vitale ricchezza - erano tali solo ed esclusivamente in potenza, allora abbiamo subito solo una perdita in potenza e, in senso stretto, non è successo ancora niente, almeno non al di fuori della cerchia dei soggetti interessati, almeno non nel momento presente. Siccome però, in un giorno futuro destinato a rimanere per sempre ignoto, l'autore o i suoi aventi causa avrebbero potuto condividere le fotografie con il pubblico in qualche forma, esponendole in spazi espositivi o riproducendole in libri, allora forse, oggi, 3 aprile 2013, possiamo dire, così come potremo continuare a dire nel 2014 e in tutti gli anni successivi fino alla fine del mondo, che nell'ottobre del 2012 avremo perduto un prezioso, ricchissimo archivio fotografico. La (legittima) scelta di costituire e mantenere un archivio in forma pressoché privata ha sottratto all'opera di Mordzinski la sua esistenza in modo così radicale da non lasciarle nemmeno una vera e propria possibilità di scomparire.

 
Mario Benedetti di Daniel Mordzinski
Link, link, link e link.

5 commenti:

  1. Molto ben detto. Sugli archivi digitali si potrebbero aprire lunghi discorsi - a partire dal fatto che si tratta di una memoria parziale e impoverita, rispetto alla risoluzione dei negativi originali, ma pur sempre di memoria, così come del San Matteo di Caravaggio distrutto a Berlino sono contento sia rimasta una foto in bianco e nero, e non solo la traccia letteraria di chi lo ha descritto nei secoli.

    RispondiElimina
  2. Hai ragione. Ieri, dopo aver letto Le Monde, avevo pensato di segnalarti un altro articolo, ma non ho tradotto il pensiero in azione, per cui lo faccio oggi, qui. Non so se sia casuale, che riporti proprio ora una notizia su come altri autori pensino a proteggere diversamente la propria opera e non so nemmeno se sia casuale che la riporti in questi termini, certo che come minimo casca a fagiolo.

    RispondiElimina
  3. L'articolo ahimè è protetto in egual misura dal sistema di accesso per i soli abbonati e dalle paurose lacune del mio francese. Ma sempre andando per associazioni, mi vengono in mente il lavoro critico di Paolo Cherchi-Usai sul paradosso del digitale - che preservando distrugge - l'idea di Stewart Brand secondo la quale per conservare un'opera d'arte o dell'ingegno la cosa migliore da fare è smarrirla da qualche parte, e l'uso da parte ad esempio di certi artisti di distruggere le matrici alla fine di un lavoro, per garantire il valore delle copie numerate di un'opera. Mi ha fatto un certo effetto una volta assistere alla rottura, pressoché rituale, di una pietra per litografia.

    RispondiElimina
  4. Me ne sono resa conto dopo, scusa. Rimedierò facendotene un sunto appena ho un attimo di tempo. Nel frattempo, eccoti brevemente le mie immediate (e sentimentali) associazioni in reazione alle tue: Solaris di Tarkovskij e Your color memory: illuminations of the unforeseen di Olafur Eliasson.

    RispondiElimina
  5. In estrema sintesi, Schuiten, illustratore belga di quasi 57 anni, ha deciso di donare l'80% delle sue opere non ai quattro figli, ma alla Biblioteca Nazionale di Francia, a una fondazione e a dei centri dedicati al fumetto, allo scopo principale di non disperderle. Ha detto, fra l'altro: "Che non si leggano più i miei album fra 20 o 30 anni non mi importa. Ma non voglio che si stampino male!"
    Non ha poi alcuna fiducia nelle copie elettroniche: "L'altro giorno, c'era un file che non riuscivo ad aprire" e poi "Se si ristampa "La Tour" - album uscito nel 1986 - tra 20 anni, i ragazzi si metteranno a ridere con i miei file a 300 dpi. Il modo di passarli allo scanner sarà evoluto, così come la stampa, le carte saranno diverse.... Si vorrà entrare nella materia, nella grana. Sarà tutta un'altra cosa".
    E ancora: "Il lettore è proprietario di un libro, nella stessa misura in cui lo sono il suo autore o il suo editore. Si deve quindi rispettare la sua esigenza. Il libro è sacro. Monetizzarlo è perverso" e "Mi reputo privilegiato di aver vissuto grazie a questo mestiere. Sono i lettori, la società, che l'hanno reso possibile. È normale che ritorni a loro".

    RispondiElimina