venerdì 12 aprile 2013

Mondo pinoso mondo nevoso ovvero detto a Zanzotto: "Eccoti una pinzetta e una graffetta: ne tengo sempre da parte una coppia per le grandi occasioni"

Tra Geoffrey Hill e Carol Ann Duffy, vale a dire tra dichiarazioni relativamente condivisibili del primo (l'arte genuinamente difficile è veramente democratica, mentre la tirannide richiede semplificazione) e relative poesie che purtroppo non sopravvivono alla camicia di forza delle stesse dichiarazioni:

But hear this: that which is difficult
preserves democracy; you pay respect
to the intelligence of the citizen.
Basics are not condescension. Some
tyrants make great patrons. Let us observe
this and pass on. Certain directives
parody at your own risk. Tread lightly
with personal dignity and public image.
Safeguard the image of the common man.
(Da On reading Crowds and power di Geoffrey Hill)

e dichiarazioni disarmanti (le poesie sono una forma di messaggistica) almeno quanto alcune delle poesie della stessa autrice:

Cold pavement indeed
the night you died,
murdered;
but the airborne drop of blood
from your wound
was a seed
your mother sowed
into hard ground –
your life's length doubled,
unlived, stilled,
till one flower, thorned,
bloomed
in her hand,
love's just blade. 

(Stephen Lawrence di Carol Ann Duffy)


io, se proprio devo scegliere, sto con Zanzotto. È una posizione meno comoda di quel che si potrebbe pensare: tutto un cercare pinzette per raccogliere, ad una ad una, parole ed annotarle e graffette per unire i fogli degli appunti in fascicoletti, alla ricerca di un nesso - se non proprio di un senso in sintonia - col mondo. Pinzette per un lavoro metodico, di precisione, immane. Graffette per unire e disunire pagine, comporle e scomporle, ovvero per dare spazio a tentativi, ripensamenti, correzioni e ripartenze, e questo è un lavoro senza fine. E poi, per quando Zanzotto decide di venire a farmi visita, identificare una pinzetta ed una graffetta speciali, da mettere da parte appositamente per lui.


Sì, ancora la neve

“Ti piace essere venuto a questo mondo?”

Bamb.: Sì, perché c’è la STANDA”.

Che sarà della neve
che sarà di noi?
Una curva sul ghiaccio
e poi e poi… ma i pini, i pini
tutti uscenti alla neve, e fin l’ultima età
circondata da pini. Sic et simpliciter?
E perché si è – il mondo pinoso il mondo nevoso -
perché si è fatto bambucci-ucci, odore di cristianucci,
perché si è fatto noi, roba per noi?
E questo valere in persona ed ex-persona
un solo possibile ed ex-possibile?
Hölderlin: “siamo un segno senza significato”:
ma dove le due serie entrano in contatto?
Ma è vero? E che sarà di noi?
E tu perché, perché tu?
E perché e che fanno i grandi oggetti
e tutte le cose-cause
e il radiante e il radioso?
Il nucleo stellare
là in fondo alla curva di ghiaccio,
versi inventive calligrammi ricchezze, sì,
ma che sarà della neve dei pini
di quello che non sta e sta là, in fondo?
Non c’è noi eppure la neve si affisa a noi
e quello che scotta
e l’immancabilmente evaso o morto
evasa o morta.
Buona neve, buone ombre, glissate glissate.
Ma c’è chi non si stanca di riavviticchiarsi
graffignare sgranocchiare solleticare,
di scoiattolizzare le scene che abbiamo pronte,
non si stanca di riassestarsi
- l’ho, sempre, molto, saputo -
al luogo al bello al bel modulo
a cieli arcaici aciduli come slambròt cimbrici
al seminato d’immagini
all’ingorgo di tenebrelle e stelle edelweiss
al tutto ch’è tutto bianco tutto nobile:
e la volpazza di gran coda e l’autobus
quello rosso sul campo nevato.
Biancaneve biancosole biancume del mio vecchio io.
Ma presto i bambucci-ucci
vanno al grande magazzino
- ai piedi della grande selva -
dove c’è pappa bonissima e a maraviglia
per voi bimbi bambi con diritto
e programma di pappa, per tutti
ferocemente tutti, voi (sniff sniff
gran gnam yum yum slurp slurp:
perché sempre si continui l’”umbra fuimus fumo e fumetto”):
ma qui
ahi colorini più o meno truffaldini
plasmon nipiol auxol lustrine e figurine
più o meno truffaldine:
meglio là, sottomano nevata sottofelce nevata…
O luna, ormai,
e perfino magnolia e perfino
cometa di neve in afflusso, la neve.
Ma che sarà di noi?
Che sarà della neve, del giardino,
che sarà del libero arbitrio e del destino
e di chi ha perso nella neve il cammino
(e la neve saliva saliva – e lei moriva)?
E che si dice là nella vita?
E che messaggi ha la fonte di messaggi?
Ed esiste la fonte, o non sono
che io-tu-questi-quaggiù
questi cloffete clocchete ch ch
più che incomunicante scomunicato tutti scomunicati?
Eppure negli alti livelli
sopra il coma e il semicoma e il limine
si brusisce e si ronza e si cicala-ciàcola
- ancora – per una minima e semiminima
biscroma semibiscroma nanobiscroma
cose e cosine
scienze lingue e profezie
cronaca bianca nera azzurra
di stimoli anime e dèi,
libido e cupìdo e la loro
prestidigitazione finissima;
è così, scoiattoli afrori e fiordineve in frescura
e “acqua che devia
si dispera si scioglie s’allontana”
oltre il grande magazzino ai piedi della selva
dove i bambucci piluccano zizzole…
E le falci e le mezzelune e i martelli
e le croci e i designs-disegni
e la nube filata di zucchero che alla psiche ne vie?
E la tradizione tramanda tramanda fa passamano?
E l’avanguardia ha trovato, ha trovato?
E dove il fru-fruire dei fruitori
nel truogolo nel buio bugliolo nel disincanto,
dove, invece, l’entusiasmo l’empireirsi l’incanto?
Che si dice lassù nella vita,
là da quelle parti là in parte;
che si cova si sbuccia si spampana
in quel poco in quel fioco
dentro la nocciolina dentro la mandorletta?
E i mille dentini che la minano?
E il pino. E i pini-ini-ini per profili
e profili mai scissi mai cuciti
ini-ini a fianco davanti
dietro l’eterno l’esterno l’interno (il paesaggio)
dietro davanti da tutti i lati,
i pini come stanno, stanno bene?

Detto alla neve: “Non mi abbandonerai mai, vero?”

E una pinzetta, ora, una graffetta.

Andrea Zanzotto
La beltà, 1968

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