mercoledì 7 novembre 2012

fiddlesticks

one
if there is an error to be made why not make it now. why wait for that unguarded moment when you have made a wrong move, decision. an act of consequence. make errors when it doesn't matter. then when it is crucial you will not drop dead of the shock of failure. the shame. you will hardly even notice any change in the circumstances surrounding you. what a democracy of effect.

two
when you sit down at your desk make sure there is only as much cleared space as is absolutely necessary for you to work on. keep those piles of diaries and notebooks, newspaper clippings, scribblers on your right and left sides; keep the dusty bottles of ink, clusters of old pens and pencils, pools of paper clips, staples, gold and cloisonne pens, special ones that you never use, in front of you. a bare desk is too shocking a reminder.

three
we rush from no-parking zones, across the road against the red lights, from crowded buses, to the wall of black post office boxes, and thrust our keys into numbered keyholes, holding our breaths until we read the omens the sight of each envelope suggests. we tremble, we sigh at the array in our hands, the glossolalia of correspondence. as we relock these boxes we turn quickly away. leaving behind a wall of tiny doors, articulate in their silences. like any wall of caskets at one of the city's crematoriums.

four
today the tv is happy talking to itself. it doesn't need me to talk to. i just turn it on. sit down somewhere else, and leave it to its own devices. i've trained mine to be independent.

five
look at those people running from the ice cream parlour to circle the person in a state of cardiac arrest by the side of the road. see how they hold their ice creams like torches as they watch the ambulance officers at work. how the ice cream runs down their palms and across their wrists like babies' bracelets. and they don't even notice.

six
see that pile of books sprawled across the bed like an odalisque. you are forced to sleep on the shelf. 

seven
imagine dying with a shopping list in your hand.

eight
last week i wrote to molly dye to discover how to keep cockroaches out of light switches; this week i'm writing to discover how to keep politicians out of the letterbox.

nine
in the last year of my life i decided to take punctuation seriously.

ten
i thought the rain was being operatic until i looked out of the window and saw a woman trying to use her voice as an umbrella.

eleven
for over a year the blue plastic bag lay on the branch of the tree. window cleaners ascending the sky on silver ladders ignored it. tree pruners worked round it. giant white blossoms came and went on the branches above it. winds and storms lashed it. but still it lay in the same place. rather like someone recovering in hospital after major surgery. no one dared remove it. perhaps we were really afraid of it. then one day it had gone. and in its place was a pair of black underpants.

twelve
looking into the vegetable soup i saw my own future.

thirteen
he spoke of a body of knowledge, how he was developing one, trying to get it down on hard disc; but when he looked at his own soft body in the shopping centre's mirrors he didn't know it at all, didn't know it from a bar of soap. all the bodies passing by looked like strangers, foreign bodies. a musak voice whispered into his left ear: 'you shouldn't distract yourself by looking in mirrors'. 'i know' he nodded minutely, trying to keep his head still so that body of knowledge wouldn't rupture, have a seizure. he sensed muggers in the ether.

joanne burns
quisquilie

uno
se c'è un errore da commettere, perché non commetterlo adesso. perché aspettare quell'attimo di incautela in cui si effettua una mossa sbagliata o si prende una decisione azzardata. un atto di conseguenza. si commettano errori quando non importa. così, quando il momento sarà cruciale, non si stramazzerà per il trauma da fallimento. per la vergogna. ci si accorgerà a malapena del cambiamento delle circostanze intorno. che effetto democratico.

due
quando ci si siede alla scrivania, ci si assicuri di avere lo stretto spazio libero necessario per lavorare. si mantengano alla propria destra e alla propria sinistra le solite pile di diari e blocchi, ritagli di giornale e scarabocchi; si mantengano di fronte a sé le boccette di inchiostro coperte di polvere, mucchi di penne e matite vecchie, file di graffette, punti metallici, penne d'oro e smaltate, quelle speciali che non si usano mai. una scrivania sgombra è un promemoria troppo traumatizzante.

tre
ci affrettiamo ad attraversare strade partendo da divieti di sosta fino a fermarci al rosso dei semafori, da autobus affollati alla parete di cassette di sicurezza postali nere, ed infiliamo le nostre chiavi in serrature numerate, trattenendo il respiro finché non leggiamo i segni premonitori che la vista della busta ci suggerisce. tremiamo, sospiriamo, soppesando il plico con la mano, la glossolalia della corrispondenza. richiudendo le cassette, ce ne allontaniamo a passi rapidi. lasciando dietro di noi una parete di porticine, articolate nei loro silenzi. come qualsiasi parete di bare nei crematori della nostra città.

quattro
oggi la tv è felice mentre parla con se stessa. non ha bisogno che mi metta a parlarle. la accendo e basta. siediti da qualche altra parte e lasciala ai suoi dispositivi. ho addestrato la mia ad essere indipendente.

cinque
guarda quella gente che dalla gelateria si precipita a circondare la persona in stato di arresto cardiaco a lato della strada. guarda come tengono i loro gelati a mo' di torce, mentre guardano gli addetti dell'ambulanza al lavoro. come i gelati scorrono dai palmi e avvinghiano i polsi come braccialetti da neonati. e senza rendersene nemmeno conto.

sei
vedi quella pila di libri abbandonata sul letto come un'odalisca. ti tocca dormire sullo scaffale. 

sette
immagina di morire con la lista della spesa in mano.

otto
la scorsa settimana ho scritto a donna letizia per scoprire come tenere gli scarafaggi lontani dagli interruttori della luce: questa settimana le sto scrivendo per scoprire come tenere i politici lontani dalla cassetta delle lettere.

nove
nell'ultimo anno della mia vita ho deciso di prendere la punteggiatura sul serio.

dieci
pensavo che la pioggia fosse lirica finché non ho guardato fuori dalla finestra e ho visto una donna che cercava di usare la propria voce come ombrello.

undici
per più di un anno il sacchetto di plastica blu rimase sul ramo dell'albero. dei lavavetri in ascesa nel cielo su scale d'argento lo ignorarono. dei potatori d'alberi ci lavorarono attorno. dei  fiori bianchi giganteschi comparvero e scomparvero sui rami sopra di lui. venti e tempeste lo rizzarono come una vela. eppure rimase nello stesso posto. come qualcuno che si stesse ristabilendo dopo un importante intervento chirurgico. nessuno osò toglierlo di lì. forse ne avevamo davvero paura. poi, un giorno, sparì. e al suo posto apparve un paio di mutande nere.

dodici
guardando dentro la minestra di verdure, ho visto il mio futuro.

tredici
parlò di un corpo di conoscenze, del modo in cui ne stava sviluppando uno, tentando di fissarlo su un disco rigido; ma quando guardò il proprio corpo molle negli specchi del centro commerciale, non lo riconobbe per niente, non era in grado di distinguerlo da una saponetta. tutti i corpi dei passanti sembravano stranieri, corpi estranei. una voce da musica da dentista si mise a sussurrare nel suo orecchio sinistro: 'non dovresti farti distrarre dalla visione degli specchi'. 'lo so', fece con un cenno minuzioso del capo, cercando di mantenere immobile la testa in modo da non far fuoriuscire quel corpo di conoscenze, da non farselo sottrarre. avvertì l'odore di rapinatori nell'etere.

4 commenti:

  1. Così pochi commenti in queste vostre pagine... sono bellissime!!!

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    1. Troppo gentile. Sono altri i luoghi che meritano commenti, ma mi ha fatto piacere trovarne uno così stasera.

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