Seminario di 2 giorni: 170 partecipanti, 28 nazionalità, una ventina di relatori, nessuna finestra apribile. Ho le gambe integralmente coperte alla vista altrui da una serie di pannelli di legno. Ne approfitto per muoverle di continuo inosservata e cercare così di attenuare una sindrome a cui solo da poco tempo posso attribuire un nome in italiano, che in realtà ha tutta l'aria di essere una traduzione dall'inglese: sindrome delle gambe senza riposo, anche se io e mio padre ne soffriamo ben prima di questo conio, cui preferiamo senz'altro un'altra locuzione, quando compare, annunciando un dialettale me rosiga le gambe. Proprio mentre più acuto si fa il rosigamento, un relatore si mette a commentare una schermata in cui ha diligentemente elencato la parola "nuovo" in molte lingue, tutte europee, dal greco all'italiano allo spagnolo al francese all'inglese al tedesco al russo: gli piace evidenziarne la prossimità, la similiarità, la somiglianza. Che sputo, l'Europa, penso, e rivolgo automaticamente lo sguardo verso i 4 partecipanti cinesi e gli altrettanti turchi: incerti se distendere i muscoli in orizzontale in un sorriso largo o se contrarli in verticale, in un'espressione di stupore, si risolvono a restare interdetti, i primi appena dopo essersi mentalmente ripetuti, credo, 新 (xīn), i secondi yeni. Penso allo sputo in cui sono nata, che Magris, in modo più elegante, ma non più originale, ha chiamato microcosmo, e mi ritorna alla mente una parola vecchia, molto vecchia, che non uso mai, eppure esiste e resiste da qualche parte dentro di me. Non faccio liste, non serve, per arrivare veloce alla conclusione, azzardata, che il termine più adatto, semanticamente e foneticamente più adatto, a definire uno spilorcio, un avaro, un taccagno, un tirchio, un braccino insomma, è caìa. Dove il risparmio è assoluto, ben più estremo che nei suoi sinonimi tirado o tirà, pedocioso e spinaza, e tocca persino le consonanti, l'unica consonante sopravvissuta alla lesina provvedendo ad emanare l'indispensabile nota di secchezza ed asperità.
sabato 10 novembre 2012
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Madopar. Sono impazzita per vent'anni, con la sindrome restless legs. All'inizio solo d'estate e solo di notte, poi allargandosi sempre più fino a farmi dare letteralmente fuori di testa 24 ore al giorno 365 giorni all'anno, scalciando furiosamente per scaricare la corrente elettrica che me le percorreva incessantemente. Poi mi è venuta la genialissima idea che forse si poteva fare qualcosa, e sono andata dal neurologo. Adesso prendo il Madopar, appunto, che è il farmaco per il Parkinson ma si è osservato che funziona anche per quella cosa lì: non la cura ma elimina i sintomi. Mi ha cambiato la vita da così a così, fin dalla prima assunzione.
RispondiEliminaCaìa in veneto non l'ho mai sentito, mi sa che non c'è.
Evito i farmaci per problemi di allergie, purtroppo, ma grazie lo stesso.
RispondiEliminaNe sto cercando da tempo un'etimologia sensata, ma non ne ho ancora trovata una soddisfacente. Se saltasse fuori, magari troverei l'equivalente veneto, forse esistente, forse caduto in disuso.
Io non sono allergica, ma ipersensibile a questo genere di farmaci sì, però ho iniziato con un ottavo di pastiglia e non mi ha dato problemi. Magari una dose così ridotta, se il disagio è proprio forte, potresti provarla.
RispondiEliminaDi etimoligie no, non ne vengono in mente neanche a me. Ho provato a inserire qualche consonante fra le vocali, ma non mi esce niente di sensato.