Mania del nuovo. Dice che il nuovo è meglio del nonnuovo: e perché mai? Io sto con ciò che è evolutivo cioè nuovo e anche vecchio; sono darwiniano. Attingo nella roba del maestro delle origini come a una fontana. È un balsamo quella prosa prudente, quel pensare lento lento, quel coraggio senza iattanza... Rileggo tutto ogni due o tre anni.15 luglio 1968Luigi Meneghello, Le carte. Materiali manoscritti inediti 1963-1989, trascritti e ripuliti nei tardi anni Novanta. Volume I: anni Sessanta, BUR Rizzoli, prima edizione digitale 2012
Rileggere Meneghello. Rileggerlo grazie ad una liseuse - il libro è maschio, ma il dispositivo per leggere quello elettronico è una lettrice, in francese: una complementarità casuale, ma ben riuscita, per una volta.
Ho aspettato diversi anni, prima di perpetrare quello che a tutti gli effetti è un tradimento, considerata la mia attitudine rispetto ai libri tradizionali, nei confronti dei quali l'affetto e l'attaccamento continuano a sgorgare come acqua di fonte non solo perché contengono parole, i mattoni del mondo, alla pari di atomi e numeri, ma anche perché i mattoni sono legati tra loro con la malta del tatto (meglio se la carta è almeno leggermente scabra, non come quella liscia e patinata di molti testi di chimica o geografia o fotografia, fisicamente insopportabile), dell'odorato e del fruscio delle pagine (preferenze assolute: odore di fieno e rumore di una leggera risacca), e ho aspettato qualche mese, prima di scriverci queste righe.
Non so come evolverà il mio rapporto col libro in futuro. So, al momento, che in questi mesi, di libri di carta, ne ho comprati pochissimi e che, contrariamente ai miei timori iniziali, l'aggiunta di un nuovo mezzo di accesso alla lettura non ha alterato il mio rimestare roba vecchia, trapassata e vetusta e non mi ha avvicinato a nuove edizioni più di quanto non fosse mia abitudine prima, anzi: vi ho caricato tutto Benjamin e alcuni testi delle sue fonti ottocentesche, quasi tutto Kafka, un numero imprecisato di poesie classiche, un Nello Rosselli su Pisacane che non conoscevo per niente, un Marx di cui ancora non mi capacito come possa aver vissuto finora senza (il 18 brumaio!), diversi testi su Istanbul, il cui incontro diretto, pur importante, è troppo recente per cui mi possa sentire di scriverne, un Andrés Neuman, un Noiriel su immigrazione, antisemitismo e razzismo, un Isnenghi, un T.S. Hamerow, un Complete Danish per marchiare a fuoco la mia prima visita di Copenhagen, diversi PDF che avevo accumulato nel tempo infrattandoli a caso nei meandri di un disco fisso sempre molto disordinato, qualche giornale di tanto in tanto, e, ovviamente, in ordine crescente di importanza, On the origin of species, Decameron e Pinocchio. Nessuna traccia ancora di Borges e Musil, il che mi induce a pensare che, ormai integrati o, più probabilmente, smarriti, nella mia memoria, non desiderino esserne estratti o rievocati, almeno non da me.
Mi ha dato un'emozione particolare, che in parte è riuscita ad attenuare i profondi sensi di colpa, partire proprio da Pinocchio. Se il primo passo doveva essere fondamentale per avviare il cambiamento - così mi sono detta al primo collegamento; mi sembrava che un primo passo sbagliato avrebbe potuto compromettere irrimediabilmente tutto il cammino futuro -, ci ho messo un attimo ad optare per Pinocchio, come primo testo, così come un attimo deve aver messo mia madre in un giorno di dicembre del 1975, entrando nella libreria Mondadori di piazza Goldoni, a Trieste, per prendermi un volume di Pinocchio che reca ancora la sua dedica e che, come molti altri, non mi ha seguito fisicamente nei miei spostamenti, ma in realtà non mi ha mai abbandonato, perché rappresenta, idealmente e concretamente, il mio primo libro. Ripensandoci, sempre grazie a lui, una cosa su Istanbul posso dirla senza tema di esprimermi troppo presto, prima che l'esperienza si sia sedimentata a sufficienza. Si tratta di un dettaglio minimo, eppur rivelatore, meglio di quanto facciano alcuni testi di storia compilativi e senza anima, dei rapporti tra Bisanzio e Venezia, e si tratta allo stesso tempo di un minuscolo segno di pervicace resistenza da parte di alcune parole alla riforma radicale di Atatürk (certe parole hanno volontà propria), che molte parole di origine straniera, a cominciare da quelle di origine persiana, bandì per decreto: sfogliando in una libreria una traduzione in turco di Pinocchio (eh), ho scoperto che falegname si dice marangoz, dal veneziano marangon. Un momento di gioia indimenticabile.
L'uso sociale in senso informatico che ne faccio è limitatissimo: al momento, mi limito a condividere una lista di libri desiderati solo con una persona, mentre registro che mi ostino a non dare valutazioni in forma di sequenze di stellette e a non fornire alcun commento, quando arrivo all'ultima pagina e mi si sollecita a farlo. L'ultima pagina è così diventata all'improvviso fonte di ansia, purtroppo, proprio per questa funzione di cui farei volentieri a meno, se riuscissi a sopprimerla.
Solo due, direi, le lamentele principali, la questione del tatto-odorato-udito e quella della vista di caratteri tipografici sempre uguali essendo largamente compensate dal vantaggio di non dover più pensare un'ora a quali libri portarmi dietro, quando esco di casa o parto, e quella dell'ansia da fine essendo abbastanza facilmente superabile respirando a fondo per tempo: in Europa non si ha (ancora) accesso alle biblioteche e non si possono dare od ottenere in prestito i libri dagli amici.
Come si vede, è una Wende e al tempo stesso non lo è e chi decreta la fine del libro, come nel 1989 qualcuno pensò di fare con la fine della storia, è un mona.
Un bello - e, come sempre, originale - elogio dell'e-book.
RispondiEliminaMi autorizzi a condividerlo sul mio blog?
Un caro saluto,
Francesco
Grazie, Francesco.
EliminaCerto. Fallo ogni volta che ti va.
Anch'io, non so... i primi tempi, sono anni ormai, la questione dei libri elettronici mi faceva dar di matto. Mi veniva da stramaledire il fatto di trovarmi in un'epoca nella quale oltre a tutto il resto anche certi modi di far le cose consolidati da secoli dovessero scomparire, modificarsi irrimediabilmente. Il libro fatto di pagine esiste da secoli e secoli ed ha aggregato un universo di di "cose", e di "rapporti", e di "sentire" attorno a sé. Soprattutto l'oggettività del libro, l'elusività di quando è fuori portata, fuori catalogo, i segni del passaggio di eventuali precedenti proprietari, i luoghi suoi: librerie, bancarelle, fondachi polverosi [ok, anche questa è roba che sta sparendo]. Eccetera, son cose dette mille volte. E comunque, mi son reso conto poi che il mio è un atteggiamento isterico, e che, come dici giustamente tu, si può trovare una giusta mediazione senza farsi prendere dal panico che s'origina dalla metaforica terra improvvisamente mancante manca sotto i piedi, a inghiottire intere biblioteche nel nulla telematico/incorporeo [un terror psicotico alla Peter Kien]. Vi son pure dei vantaggi in tutto questo, e son quelli che elenchi tu. Per cui anche il mio primo e-book reader non è lontano, che gli dei mi perdonino.
RispondiEliminaCapisco benissimo, Damiano. Se scompariranno del tutto o meno, quei luoghi e quelle modalità, dipenderà da noi e da chi verrà dopo di noi.
EliminaAnche a me era venuto in mente Klein: chiameranno il virus che spazzerà via tutto questo die Blendung, ne sono convinta.
Gli dei ci hanno perdonato già il passaggio dalle tavolette d'argilla al papiro, credo (i cinesi usavano i gusci di tartaruga, prima della carta). Ma forse mi sbaglio ed è lì, l'origine di tutti i mali.
Considera il lapsus Kien/Klein un lapsus ben assestato.
EliminaIo invece leggo un libro, se non c`è il libro faccio dell'altro. Magari se vado da uno psicologo dopo qualche anno di terapia ci riesco e invece di leggere un libro leggo un e-book. Speriamo che continuino a stampare i libri per per ancora un bel pò di tempo così risparmio i soldi della terapia.
RispondiEliminaÈ legittimo, Giovanni. Ho resistito molto tempo anch'io, ora ho ceduto per debolezza e per curiosità, credo (e me la vedo con i conseguenti sensi di colpa). Mi sembra che ampli l'accesso alla lettura, ad edizioni non facilmente reperibili (specie in lingue diverse da quelle del paese in cui si vive), e che dia ulteriori possibilità di sopravvivenza a piccoli e microeditori.
RispondiEliminaAnch'io ho tradito da qualche settimana, e anch'io finora su 'sto coso ci sho messo praticamente solo roba vecchia, e i primi libri letti sono stati, in parallelo, il secondo romanzo di Ballard e Cuore di De Amicis, che non leggevo da quando ero piccolissimo. La sensazione che mi dà è quella di avere per le mani una brutta edizione, e per giunta sempre la stessa. Certo però che poter attingere a tutti i libri diventati di pubblico dominio e poter comprare le uscite italiane nuove (quelle poche che seguo) senza dissanguarmi con le spese di spedizione agli antipodi una certa differenza nella mia vita la farà.
RispondiEliminaSarebbe bello reperire delle testimonianze dei primi lettori di libri stampati: credo che vi troveremmo, tra l'altro, il rimpianto per la varietà estetica offerta dai manoscritti miniati.
RispondiEliminaLa mole della sola letteratura di pubblico dominio mi sottrae ancora più del solito all'esplorazione del nuovo, non so se per fortuna o purtroppo.
Arrivata a Parigi dalla Germania, tre anni e mezzo fa, ordinai un testo alla libreria tedesca e, nei primi mesi, telefonai e ripassai più volte per avere lumi e sollecitarne l'invio: lo aspetto ancora, da quella libreria.
Complessivamente, mi sembra un arricchimento. Eppure, la sensazione del tradimento resta.