mercoledì 9 giugno 2010

Come sarebbe se continuassi ancora con Puškin

Ne Lo Specchio di Tarkovskij, una signora (la Achmatova?) chiede a Ignat di leggere da un libro le parti di una lettera di Puškin sottolineate con una matita rossa. Queste.

Non c'è dubbio che lo scisma delle chiese ci ha separati dall’Europa e che non abbiamo partecipato a nessuno dei grandi eventi che l’hanno scossa, ma noi avevamo la nostra propria missione. È la Russia, sono i suoi spazi sconfinati ad aver assorbito l’invasione mongola. I tartari non hanno osato superare le nostre frontiere occidentali. Si sono ritirati nelle loro steppe e la civiltà cristiana è stata salvata. A questo scopo, abbiamo dovuto condurre un’esistenza assolutamente particolare che, pur lasciandoci cristiani, ci ha tuttavia resi profondamente estranei al mondo cristiano.

Per quanto riguarda la nostra insignificanza dal punto di vista storico, non posso decisamente essere d’accordo con voi.

E non trovate qualcosa di importante nell’attuale situazione della Russia, qualcosa che colpirà gli storici futuri? Anche se sono sinceramente devoto al nostro sovrano, non posso proprio entusiasmarmi vedendo quello che mi circonda; come letterato ne sono irritato, come uomo afflitto da pregiudizi ne sono offeso, ma vi giuro sul mio onore che per nulla al mondo vorrei cambiare patria, o avere un’altra storia, diversa da quella dei nostri padri, esattamente come Dio ce l’ha data.

Dalla Lettera di Puškin a Čaadaev, 19 ottobre 1836


Andrej Tarkovskij, Lo specchio, 1974
Pergolesi, Stabat Mater, Quando corpus morietur/ fac ut animae donetur/ paradisi gloria, 1736

6 commenti:

  1. Penso che potrebbe risultare stimolante anche un confronto con Rozanov.
    Il Rozanov de "L'apocalisse del nostro tempo" (che ho conosciuto leggendo qualcosa di Sergio Quinzio e poi in fonte)
    Che cosa ne pensa?
    Per ora la mia è solo una sensazione, probabilmente confusa, ma... mi pare che anche Evtusenko in "Arrivederci bandiera rossa" parlasse, così come Rozanov di una sorta di "dissoluzione della Russia."
    E il passo di Puskin da lei citato evidenzia una sorta di supremazia spirituale della Russia, che derireverebbe da una sua diversità di fondo rispetto sia al mondo latino che a quello germanico ed anglosassone.
    Su questo, penso che concordasse anche Rozanov.
    A presto e complimenti per il blog, elegantemente colto e stimolante.

    RispondiElimina
  2. Grazie, Riccardo, grazie. Colto è una parola importante, che questo blog non merita e che lascerei ad altri. Direi che qui c'è molta curiosità, quello sì. Accetto invece, e con molto piacere, l'avverbio elegantemente, sperando di meritarmelo, salvo inevitabili cadute o distrazioni.

    L'apocalisse di Rozanov, dunque, diceva. Uno spunto più semplice no, eh? :-) Uno dei miei limiti è l'incapacità di affrontare ragionamenti di tipo teologico, per mancanza dei necessari elementi di conoscenza di base (però apprezzavo moltissimo gli articoli di Quinzio su la Stampa, allora prodiga anche con Bobbio, Man, ecc. - mi pare sia rimasta solo la Spinelli, oggi, a tenere alta la bandiera del pensiero colto - quello sì - e libero). Per mia inclinazione e per mia predisposizione rispetto alle questioni divine o ultraterrene - a me incomprensibili -, nel caso di autori come Rozanov, di cui so pochissimo, non avendomene messi i libri sotto le ascelle come fece Erofeev, cerco di interpretarne le affermazioni trasformando continuamente la parola Dio in una parola diversa: sogno, speranza, aspirazione, anelito, ecc., mantenendo tutto a livello esclusivamente terreno e umano. Riesco a seguire Rozanov nella sua accusa al cristianesimo di non essere stato capace di evitare la guerra e la miseria, con più difficoltà quando usa la metafora dell'apocalisse. Posso comprenderla solo in quanto negazione dell'arrivo di un Messia, meno in quanto rinuncia alla lotta per il riscatto dell'uomo attraverso i mezzi di un progetto collettivo di natura politica, per nulla se l'apocalisse deve essere letta solo in chiave russa. La sua posizione controversa e isolata me lo rende interessante, ma preferisco fermarmi a Dostoevskij, che nell'uomo russo, pur ancorandolo al mondo slavo, vedeva pur sempre uno slancio paneuropeo e di fratellanza universale.
    Nel passo citato mi piace vedere, più che una supremazia russa, l'accettazione e il rispetto totale per la propria storia così come si è svolta, incluse tragedie ed errori, mentre nella missione mi piace intravedere, più che un destino, la ricerca di un senso. Ma, va da sé, questa è una lettura personale.
    Per quanto riguarda "Arrivederci bandiera rossa", non saprei che dire, non avendolo letto, ma apprezzerei un suo contributo, se se la sentisse di offrirlo, fosse anche solo in forma di sensazione. È la forma in cui solitamente mi esprimo anch'io.

    RispondiElimina
  3. In effetti, spesso il discorso teologico rischia di sfociare in uno spiritualismo che consiste nell'accettazione dello status quo e dell'ingiustizia.
    Un pericolo, questo, da evitare in tutti i modi!
    Direi che di Rozanov apprezzo molto la sua denuncia del cristianesimo come qualcosa che finisce per disincarnare l'essere umano, nel senso cioè di privarlo della sua emozionalità, affettività, slanci ecc.
    Da qui lo sguardo pieno di favore rivolto dal Nostro alla cultura dell'antico Egitto.
    Benchè io mi consideri cristiano, penso che nella denuncia di Rozanov ci fosse molto di vero...
    Per es., come accettare l'ingiustizia, lo sfruttamento, la guerra, la miseria di molti che spesso è funzionale alla ricchezza di pochissimi... come è possibile accettare tutto questo, sia pure in una prospettiva metafisica o religiosa?
    L'apocalisse, per come la intendo io (e mi pare che la sua concezione non sia lontanissima dalla mia) consiste in un riscatto di chi è... umiliato ed offeso, per citare il grande Dostoevskij.
    Su "Arrivederci bandiera rossa " le parlerò volentieri in altra occasione; l'opera fa parte di quelle che mi sono proposto di rileggere, questa estate.
    Buona giornata!

    RispondiElimina
  4. La ascolterò.
    Arrivederci, allora!

    (Mi riesce difficile associare l'antico Egitto all'ideale di giustizia e temo che il grande spazio dato alla vita nell'oltretomba fosse concepito, come di consueto, come compenso per le miserie della vita terrena, ma magari lei si riferiva solo alla questione degli affetti e delle emozioni e ho frainteso. Per questo lo metto tra parentesi).

    RispondiElimina
  5. Sì, mi riferivo esattamente alla "questione degli affetti e delle emozioni."
    Tuttavia se vi è stato un fraintendimento, di questo sono responsabile io: probabilmente ho schematizzato un po' troppo.
    Temi complessi richiedono, in effetti, trattazioni più ampie.
    In modo più o meno incidentale, penso che il socialismo (ovviamente depurato da veleni stalinisti) possa essere forse la sola soluzione al problema dell'ingiustizia.
    Come coniugare libertà ed uguaglianza? Bel problema!
    Ma certo, come diceva Pertini la libertà senza giustizia è solo il diritto del più ricco di fare ciò che vuole...
    Io penso che ci si debba volgere e rivolgere ad un marxismo come quello di Gramsci, che poneva al centro di tutto non un'impostazione rigidamente economicistica, ma l'uomo e la sua volontà.
    La Storia è fatta da determinati modelli economico-sociali, ma ciò dipende da uomini che quei modelli impongono e da altri che invece, li subiscono.
    Ma questi ultimi, possono scegliere un'altra strada; se lo... vogliono e se sono coscienti non solo del loro sfruttamento, ma anche (sembrerà una sottigliezza ma non lo è) di quanto ciò sia intrinsecamente ingiusto.
    Il socialismo è per me non solo abbattimento del capitalismo; è questo ed insieme costruzione dell'uomo nuovo. Ricostruzione quindi non soltanto dell'economia ma anche dell'ethos e della dimensione intellettuale, sviluppo integrale delle potenzialità umane ecc.
    I vari "socialismi" e le loro deformazioni storiche non sono, penso, da intendersi come un fallimento del socialismo bensì di modelli statali errati.
    Il marxista tedesco Ernst Bloch parlava del socialismo come di un "experimentum mundi"; ciò conferisce appunto al social. una dimensione problematica e dialettica che lo salva dal dogmatismo e dall'autoritarismo.
    Ma le sto facendo una.. predica rossa che probabilmente, a questo punto l'avrà già annoiata!
    Tornerò presto con un commento a carattere prevalentemente letterario.
    A presto!

    RispondiElimina
  6. Ma figuriamoci, non l'ho percepita come una predica. Si senta libero di commentare come vuole e anzi, cerchi , se può, di non farsi influenzare troppo dal fatto che qui si riportano soprattutto poesie.

    Per come la vedo io, socialismo è una bella parola. Anche comunismo lo è. E anche anarchia. E molte altre. Uomo nuovo, non lo so bene se sia una bella parola. In effetti, come minimo sono due.

    A presto e grazie.

    RispondiElimina