lunedì 8 luglio 2013

Ingegnosi artificii

Qualche giorno fa Le Monde ha riportato la notizia della condanna di un cittadino italiano per vilipendio alla nazione. La notizia ha dato il destro al suo corrispondente dall'Italia, Philippe Ridet, per ricordare la generale tendenza degli italiani a parlare male di se stessi, attitudine che cesserebbe immediatamente nel caso sia uno straniero, a muovere delle critiche, e quindi per suggerire, quale misura anti-debito pubblico italiano, l'estensione di un'ammenda pecuniaria equivalente a quella fissata dalla Cassazione (1000 euro) a tutti i cittadini che si lascino uscire di bocca un "paese di merda". Non un grande articolo, il suo, anche perché dovrà fare un ulteriore, notevole sforzo di ingegno, data la cronica assenza di vilipendi alla nation e la gentile tolleranza per le conneries di Le Pen padre e figlia, per escogitare un suggerimento all'altezza del problema del debito pubblico francese, che se è minore di quello italiano, è pur sempre in costante crescita.
Non è difficile ricordare chi, tra i politici italiani, ha espresso lo stesso sottile concetto, sul proprio paese, in forma privata ma da presidente del consiglio, per non parlare di chi ha pubblicamente dichiarato l'intenzione di usare la bandiera italiana alla stregua di carta igienica e se l'è cavata, se ben ricordo, senza dover versare alcuna ammenda grazie ad un indulto. Questo, solo a mo' di inciso a proposito del supposto accanimento giudiziario da una parte e del supposto principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge dall'altra.
La Corte di Cassazione avrebbe dovuto prendere posizione, tuttavia, non rispetto al vilipendio, ma rispetto al falso. L'Italia, infatti, non è un paese di merda, perché ha delle enormi potenzialità umane, attualmente inespresse e destinate a restare tali nell'immediato futuro: è solo, più banalmente, un paese arretrato, un paese che non legge e che, non leggendo, dimentica più in fretta e con maggior frequenza rispetto al tasso di oblio fisiologico ed usa parole povere o sbagliate e quindi non può che produrre pensieri inadatti a dare luogo ad azioni consapevoli, conseguenti e serie, non disdegnando di trovarsi alla mercé del pagliaccio di turno. È anche un paese che soffre di un notevole complesso di inferiorità nei confronti degli altri. Se non fosse così, la vicenda del cosiddetto metodo Stamina avrebbe avuto sensibilmente meno eco, che invece è stata potenziata trovando non poco carburante nel fatto che Nature ne ha scritto nei termini noti, in ben due occasioni diverse - un poco invidiabile onore.
Davide Vannoni ha depositato due domande di brevetto in Italia, due domande negli Stati Uniti e due domande all'Ufficio Europeo a proprio nome, designando come sola inventrice Erica Molino. Una domanda riguarda un procedimento di estrazione di cellule staminali mesenchimali, mentre l'altra riguarda un procedimento di estrazione e differenziazione di cellule staminali mesenchimali e il loro uso terapeutico. Le due domande di brevetto europee sono state ritirate prima della loro pubblicazione, presumibilmente a seguito di rapporti di ricerca negativi, checché ne dica Vannoni, che ha dichiarato di aver mantenuto le domande solo negli Stati Uniti per cercare di ottenere una protezione nel mercato mondiale più importante (per quanto non sembri disdegnare i finanziamenti pubblici incassati nell'ambito del piccolo mercato italiano), mentre le altre domande sono giunte a pubblicazione. Siccome l'Italia è un paese arretrato, il testo delle due domande italiane non è disponibile online. Lo è però quello delle domande di brevetto statunitensi, esattamente come lo è quello di tutte le domande di brevetto slovene dell'ultimo ventennio e quelle di molti altri paesi più avanzati dell'Italia. Ne ho quindi letto il contenuto così come quello delle lettere ufficiali emesse dall'ufficio brevetti statunitense. Potrei offrire qualche elemento in merito allo stato delle due domande depositate negli Stati Uniti, a quello che divulgano e rivendicano, alla natura e alla fondatezza o meno delle obiezioni sollevate dall'esaminatore, ma altri l'hanno già almeno parzialmente fatto e il mio intervento volgerebbe presto, al più, ad una pedante, didascalica serie di sterili puntualizzazioni. 
Quello che mi interessa maggiormente, in questo momento, accettando di buon grado di correre, in questo caso, il rischio della pedanteria, del didascalismo e della sterilità, è provare a considerare il modo in cui la questione delle domande di brevetto di Vannoni viene riportata in Italia, che è, per una fortunata coincidenza (fortunata almeno per questo blog, meno per i suoi lettori), proprio il paese in cui per la prima volta sono stati sanciti alcuni dei principi cardine del sistema brevettuale. Sono principi che circolano da ben più di mezzo millennio. Invano, come in tutti quei casi in cui i pensieri più articolati vengono espressi e diffusi ed assimilati solo nell'ambito di una ristretta cerchia elitaria, non riuscendo a passare a sufficienza nel corpo della popolazione.

El sono in questa cità, et anche a la zornada per la grandeza et bonta soa concorre, homeni da diverse bande et acutissimi ingegni, apti ad excogitar et trovar varii ingegnosi artificii. Et se’l fosse provisto, che le opere et artificii trovade da loro altri, viste che le havesseno, non podesseno farle, e tuor l’honor suo, simel homeni exercitariano l’ingegno, troveriano et fariano de le chosse che sariano de non picola utilità et beneficio al stado nostro. Però l’andarà parte che per auctorità de questo Conseio, chadaun che farà in questa cità algun nuovo et ingegnoso artificio, non facto paravanti nel Dominio nostro, reducto che'el sarà a perfection, si che el se possi usar, et exercitar, sia tegnudo darlo in nota al officio di nostri provededori de Commun, siando prohibito a chadaun altro in alguna terrae luogo nostro, far algun altro artificio, ad imagine et similitudine de quello senza consentimento et licentia del auctor, fino ad anni X. Et tamen, se algun el fesse, l’auctor et inventor predicto, habia libertà poderlo citar a chadaun officio de questa cità, dal qual officio el dicto, che havesse contrafacto sia astreto a pagarli ducati cento, et l’artificio, subito sia desfacto. Siando però in libertà de la nostra Signoria, ad ogni suo piaxer tuor et usar nei suoi bisogni chadaun di dicti artificii, et instrumenti, cum questa però condition, che altri ch’a i auctori non li possi exercitar.

Legge sui brevetti della Repubblica di Venezia, 19 marzo 1474 (English translation)

A Venezia, nel 1474, si misurava la grandezza e la bontà dello Stato anche in base alle invenzioni e alle opere dell'ingegno in esso prodotte.
Si apprezzava il contributo che anche gli stranieri potevano dare a queste grandezza e bontà, estendendo anche a loro il diritto al brevetto (homeni da diverse bande), cosa per niente scontata, visto che stiamo parlando dei primordi della legislazione in materia.
Si stabiliva il requisito della novità, perché un'invenzione fosse brevettabile, anche se non era ancora il criterio della novità assoluta, la tecnica nota essendo solo quella divulgata nella Repubblica (non facto paravanti nel Dominio nostro).
Era molto chiara la distinzione tra scoperta ed invenzione, come sembra indicare la scelta dei termini ingegnoso artificio, che è scelta oculata. Questi stessi termini, forse, ed in particolare il termine ingegnoso, sottintendevano anche, per quanto in modo solo implicito, un secondo requisito di brevettabilità, oltre a quello della novità, il requisito dell'attività inventiva.
Si esigeva poi che l'invenzione fosse riproducibile (reducto che'el sarà a perfection, si che el se possi usar, et exercitar), per cui se ne sarebbe dovuta richiedere la protezione alla Serenissima solo dopo le necessarie verifiche sperimentali, e non allo stadio di mera speculazione o vaga idea, e lo si sarebbe dovuto notificare per iscritto all'ufficio (sia tegnudo darlo in nota al officio). Queste due esigenze, combinate, avrebbero garantito un risultato fondamentale, e cioè che, una volta scaduta la privativa brevettuale, che era limitata nel tempo (dieci anni allora, vent'anni oggi, dalla domanda di brevetto), e quindi una volta caduta l'invenzione nel pubblico dominio, l'invenzione potesse essere fruita e sfruttata da chiunque, grazie alla sua divulgazione tramite il brevetto, contribuendo in tal modo alle dette grandezza e bontà della Repubblica. La brevettazione, se usata e non abusata, era (ed è) un incentivo a divulgare le invenzioni, a non tenerle nel cassetto, a farne godere tutti, un giorno.
Si sanciva anche il principio del diritto di esclusiva territoriale, limitato al territorio dello Stato, e lo si faceva vietando sia le imitazioni pedisseque sia i prodotti somiglianti a quello brevettato (siando prohibito a chadaun altro in alguna terrae luogo nostro, far algun altro artificio, ad imagine et similitudine de quello), richiamando, ad un tempo, sia il moderno principio della contraffazione letterale sia quello della contraffazione per equivalenti, e mostrando così pure una certa familiarità con la protezione che oggi è conferita a chi opera nel mercato tramite le misure che sanzionano l'imitazione servile e la concorrenza sleale confusoria.
Si prevedeva poi che i terzi desiderosi di usare l'invenzione potessero farlo, prima del termine decennale, solo dietro una licenza concessa dall'autore dell'invenzione.
Per quanto riguarda la violazione dei diritti brevettuali, questa era sanzionata con un'ammenda e con la distruzione dei prodotti contraffatti, esattamente come può disporre un giudice oggi.
L'ultimo capoverso della legge non mi è molto chiaro, purtroppo: sembra distinguere tra un diritto di prendere ed usare le invenzioni da parte del governo della Repubblica, a seconda del suo fabbisogno, salvo accordare il diritto esclusivo alla sua realizzazione ai soli autori. Sembra insomma prefigurare una qualche autorità di intervento, da parte dello stato, nel caso la produzione del prodotto brevettato non soddisfasse i bisogni dello stato, continuando tuttavia ad autorizzare la produzione esclusiva al solo titolare del brevetto (un prodromo dell'istituto della licenza obbligatoria, cui tutti gli stati hanno diritto, in specifiche situazioni di necessità, licenza obbligatoria cui per esempio l'India è recentemente ricorsa nei confronti della Bayer?).
Fin qui, Venezia, più di mezzo millennio fa, per quanto una Venezia letta necessariamente con gli occhi e le conoscenze e memorie imperfette di una persona vissuta a cavallo tra XX e XXI secolo. Invece, quattro anni fa in Italia e tre anni fa negli Stati Uniti, Vannoni ha ritenuto di richiedere un monopolio ventennale su un uso terapeutico di una soluzione di etanolo e di acido retinoico, in qualsiasi concentrazione, divulgando, in cambio, un solo, singolo, striminzito esempio, secondo il quale una soluzione di 10 ml di etanolo al 98% e 10 mg di acido retinoico, aggiunta ad una soluzione fisiologica - non meglio definita  - ad una concentrazione di 6 µl/ml, indurrebbe la differenziazione di cellule staminali mesenchimali in nueroblasti e/o neuroni, e corredandolo di fotografie che lui stesso ha ammesso appartenti ad altri ricercatori.
Vannoni ha anche ritenuto di richiedere un monopolio ventennale su un procedimento non ancora sottoposto alla necessaria sperimentazione. Se lo fosse stato, avrebbe fornito maggiori dati e risultanze sperimentali proprie, e non altrui, e non mi riferisco ai test clinici, che richiedono le necessarie autorizzazioni, che comunque, fin dal metodo Di Bella, possono essere rilasciate con generosità, almeno da alcuni giudici italiani, e richiedono tempo, quanto piuttosto a quel minimo di sperimentazione richiesta per verificare se ed in quali condizioni sperimentali l'invenzione riesca ad esplicare un qualche effetto tecnico e lo riesca ad esplicare in modo ripetibile.
In Italia, nel 2013, non sempre è chiara la distinzione fra scoperta ed invenzione, il che dimostra, purtroppo, che si è ancora all'ABC della questione. Marco Cattaneo, per esempio, si è interrogato sulla mancata pubblicazione della "scoperta" del metodo di Vannoni su una qualsivoglia rivista scientifica, proprio alla pari di Vannoni, che ha affermato di avere "scoperto" il metodo, come se l'avesse trovato in natura, come il fuoco, per trascurare il fatto che nei dossier brevettuali non è lui, ad essere designato come inventore, per sua stessa scelta e dichiarazione di fronte ad ogni ufficio brevetti cui ha fatto domanda.
Più terra terra ancora, in Italia, oggi, talvolta si crede di dover designare una domanda di brevetto con il termine "applicazione", ignorando quindi che l'inglese application significa domanda o non avendo proprio mai sentito parlare di una domanda di brevetto.
Si continua poi a confondere una domanda di brevetto ed un brevetto concesso, per cui, in diversi giornali, si menziona il "brevetto Stamina" e non la domanda Stamina, così come si consente a Mario Moretti Polegato di pubblicizzare le sue scarpe con la fallace denominazione "brevetto internazionale", titolo che non esiste, se non in forma di domanda. Vannoni ha depositato due domande di brevetto. Potrei farlo anch'io, chiunque può farlo. Non è prova di una gran ricerca o di un particolare merito. Basta depositare una descrizione di quella che si ritiene un'invenzione e delle rivendicazioni che ne definiscano l'ambito di tutela che si desidera ottenere e basta pagare delle tasse. Non chiunque, però, può vederselo concesso, il brevetto, quando, come negli Stati Uniti, come in Europa e in gran parte dei paesi del mondo, ogni domanda di brevetto è sottoposta ad una ricerca di anteriorità e ad un esame di merito da parte dell'esaminatore dell'ufficio presso il quale la domanda è stata depositata. Per dare luogo ad un brevetto concesso, al di là di alcuni requisiti formali, la domanda deve rivendicare un'invenzione nuova, inventiva ed applicabile industrialmente e deve descrivere l'invenzione in modo tale che questa sia riproducibile da un tecnico del ramo. A Venezia, nel 1474, tutto questo si sapeva già.

domenica 7 luglio 2013

Beim Wiederlesen eines Gedichts von Paul Celan

es sind
noch Lieder zu singen jenseits
der Menschen


Lesend
von deinem Tod her
die trächtigen Zeilen
wieder verknüpft
in deine deutlichen Knoten
trinkend die bitteren Bilder
anstoßend
schmerzhaft wie damals
an den furchtbaren Irrtum
in deinem Gedicht das sie lobten
den weithin ausladenden
einladenden
ins Nichts

Lieder
gewiss
auch jenseits
unseres Sterbens
Lieder der Zukunft
jenseits der Unzeit in die wir
alles verstrickt sind
Ein Singen jenseits
des für uns Denkbaren
Weit

Doch nicht ein einziges Lied
jenseits der Menschen

Erich Fried


Rileggendo una poesia di Paul Celan

dei canti
sono ancora da intonare al di là
dell'umanità


Leggendo
dopo la tua morte
i versi pregnanti
di nuovo legati
nei tuoi chiari nodi
bevendo le immagini amare
in cui mi imbatto
dolorosamente come allora
contro il terribile errore
nella tua poesia che elogiavano
l'invito nel nulla
in larga misura
disdetto


Canti
certo
anche al di là
della nostra morte
Canti del futuro
al di là del tempo incongruo in cui
siamo tutti impigliati
Un canto al di là
del nostro concepibile
Spazio

Ma non un solo canto
al di là dell'umanità

sabato 6 luglio 2013

We're on our way to a poetry reading


Non so se sia nel libro [Just kids] o meno, ma Robert, verso il 1970, iniziò a creare i propri vestiti. Diventavano sempre più belli, molto vistosi. Disegnò dei pantaloni da cavallerizzo, di quelli che indossano i cowboys, sai, con una brachetta qui [indica in mezzo alle gambe], in lamé dorato, i pantaloni. Ci trovavamo in un piccolo ristorante e stavamo andando ad un recital di poesie e Robert aveva questi pantaloni in lamé dorato con la brachetta e io avevo l'abitudine di mettere del miele nel tè, ma non lo servivano mai, nei ristoranti, avevano solo lo zucchero, così avevo l'abitudine di portarmi dietro il miele in una piccola borsa. Allora tirai fuori il miele e lo misi sul tavolo. Stavo mettendo il miele nel tè, quando Robert mi disse: "Patti, perché devi portarti il miele al ristorante? Stai attirando l'attenzione su di te."

Patti Smith, Louisiana Literature Festival, 2012

venerdì 5 luglio 2013

Un post alto come un albero e piccolo come una cicala


Anselm Kiefer, De l'Allemagne, particolare, 1982-2013

über der grauschwarzen Ödnis,
Ein baum-
hoher Gedanke,
greift sich den Lichtton: es sind
noch Lieder zu singen jenseits
der Menschen.

Paul Celan, Fadensonnen, 1967

sulla desolazione grigionera,
un pensiero alto
come un albero afferra il suono della luce:
dei canti sono ancora da intonare al di là
dell'umanità.

Kiefer in parte dilata, in parte spezza Soli-filamenti, con la presenza dell'albero, con la sua interposizione in mezzo a jenseits, che a lungo ho pensato di rendere con un ol     tre, per poi rinunciarvi, non sapendo come inserire un tronco tra due sillabe. Va immaginato a grandezza naturale, il quadro, e allo stesso modo quindi anche la citazione di Celan, che ha molteplici significati metaforici*, ma esattamente questa dimensione, nella riproduzione di Kiefer.
Es sind noch Lieder, dice Celan, non es gibt noch Lieder. Parrebbe quindi che i canti esistano solo temporaneamente, ora, in questo frangente, nel presente di chi lo legge, come se bussassero alla porta (es ist jemand an der Tür), canti distinguibili, ma di passaggio o concentrati in poco tempo, come quelli delle cicale nelle ore estive più calde.

Denn die Zikaden waren einmal Menschen. Sie hörten auf zu essen, zu trinken und zu lieben, um immerfort singen zu können. Auf der Flucht in den Gesang wurden sie dürrer und kleiner, und nun singen sie, an ihre Sehnsucht verloren - verzaubert, aber auch verdammt, weil ihre Stimmen unmenschlich geworden sind.

Ingeborg Bachmann, die Zikaden, 1955

Perché le cicale una volta erano esseri umani. Smisero di mangiare, di bere e di amare, per poter cantare tutto il tempo. Rifugiandosi nel canto, si rinsecchirono e si rimpicciolirono, e ora cantano, perse dietro il loro desiderio febbrile - incantate, ma anche dannate, perché le loro voci nel frattempo sono diventate non umane.

*Menschen è forse più specifico di uomini, potrebbe essere limitato agli ebrei; noch può essere generale, nel senso che vi sono sempre canti da intonare, dopo ogni desolazione, oppure può essere un 'vi sono ancora canti' rapportato ad altri canti, incongrui, quelli diffusi nei campi di sterminio; l'enunciato finale, ancora una volta contrassegnato da Kiefer con l'ausilio del tronco, che vi crea una cesura, rispetto ai versi precedenti, ancora più marcata dei due punti, può essere un invito o può piuttosto volgere al sentenzioso, ecc. ecc., con un risultato che oscilla tra la fuga dalla realtà e l'adesione ad una realtà altra. Con l'associazione alle cicale, al loro canto al prezzo della perdita dell'umanità, mi rendo conto ora, i canti al di là degli uomini non sono più né una fuga né una liberazione, ma una dannazione, tuttavia, la tentazione di intrecciare e di vagare tra l'umano, l'ultraumano, il non umano e il disumano, tra il tono e il timbro del grigionero e quelli della luce, era troppo forte. Chiudo come faceva sempre quel furbone di Dante in questi casi: e comunque, le stelle.

mercoledì 3 luglio 2013

Schönes Entsetzen

Mi ero riproposta di trovare e riprodurre non appena possibile il testo di Benjamin cui avevo pensato leggendo di fodere di cappotti nel bellissimo testo di Pajak a lui dedicato. Mi è stato possibile tra ieri sera e stamattina. Con piccola, solitaria soddisfazione, che spero solitaria ancora per poco.

*

Der vierzehnte Juli. Von Sacré-Cœur aus übergießen bengalische Feuer Montmartre. Der Horizont hinter der Seine glüht. Feuergarben fahren auf und erlöschen über der Ebene. Zehntausende stehen am steilen Abhang gedrängt und folgen dem Schauspiel. Und diese Menge kräuselt unaufhörlich ein Flüstern wie Fältchen, wenn der Wind im Mantel spielt. Spannt man sein Ohr dem schärfer entgegen, so tönt darin noch anderes als Erwartung der Raketen und Leuchtkugeln. Erwartet nicht diese dumpfe Menge ein Unheil, groß genug, aus ihrer Spannung den Funken zu schlagen; Feuersbrunst oder Weltende, irgend etwas, das dies samtne, tausendstimmige Flüstern umschlagen ließe in einen einzigen Schrei, wie ein Windstoß das Scharlachfutter des Mantels aufdeckt? Denn der helle Schrei des Entsetzens, der panische Schrecken ist die Kehrseite aller wirklichen Massenfeste. Der leise Schauer, der die ungezählten Schultern überrieselt, bangt nach ihm. Für das tiefste, unbewußte Dasein der Masse sind Freudenfeste und Feuersbrünste nur Spiel, an dem sie auf den Augenblick des Mündigwerdens sich vorbereitet, auf die Stunde, da Panik und Fest, nach langer Brudertrennung sich erkennend, im revolutionären Aufstand einander umarmen. Von Rechts wegen begeht man in Frankreich die Nacht des vierzehnten Juli mit Feuerwerk.

Walter Benjamin, Gesammelte Schriften, IV-1, Suhrkamp Verlag

Frédéric Pajak, Manifeste incertain 1, Les éditions Noir sur Blanc, Losanna, 2012 

Bell'orrore

Quattordici luglio. Dal Sacré-Cœur si riversano fuochi d'artificio su Montmartre. L'orizzonte dietro la Senna fiammeggia. Fasci di fuochi ascendono e si spengono sulla pianura. Decine di migliaia di persone si affollano sul pendio scosceso e seguono lo spettacolo. E un mormorio fa increspare senza posa questa folla come quando il vento gioca con il cappotto. Se vi si presta meglio ascolto, ne emerge un suono diverso da quello atteso dai razzi e dai bagliori dei fuochi. Questa folla soffocata non si aspetta una disgrazia tanto grande da innescare la scintilla dalla propria tensione; incendio o fine del mondo, un qualcosa che trasforma questo mormorio vellutato di migliaia di voci in un sol grido, come un colpo di vento svela la fodera scarlatta di un cappotto? Perché il chiaro grido dell'orrore, del timor panico, è il rovescio di ogni vera massa. Il leggero brivido che corre sulle innumerevoli spalle ne rivela la febbrile attesa. Per l'esistenza incosciente più profonda della massa, le manifestazioni di gioia e gli scoppi sono solo un gioco in cui questa si prepara all'istante dell'emancipazione, all'ora in cui panico e festa, riconoscendosi come fratelli dopo una lunga separazione, si abbracciano in un'insurrezione rivoluzionaria. È a pieno diritto che in Francia la notte del quattordici luglio si celebra con fuochi di artificio.

martedì 2 luglio 2013

Un poco como en Fahrenheit 451

Estamos un poco como en Fahrenheit 451: no se queman los libros ni damos vueltas por un parque recitándonos fragmentos pero sí está la atmósfera, la lectura va quedando para unos pocos; no es menosprecio por el libro; simplemente, se ha dejado de leer.


Siamo un po' come in Fahrenheit 451: non si bruciano i libri né andiamo in giro per un parco recitando frammenti, ma l'atmosfera è così, la lettura sta diventando per pochi; non è disprezzo per il libro, si è semplicemente smesso di leggere.

Estamos, non somos. È una condizione temporanea. C'è speranza che cambi.