sabato 26 novembre 2011

Cuando muere el sol. Omaggio a Montserrat Figueras (1942-2011)



Par Jean-Christophe, auteur du blog Passée des Arts, que je remercie.




Ci sono volti che ci accompagnano da così tanto tempo che si finisce per crederli immortali. Se alcuni si ricordano di quello che stavano facendo e del posto in cui si trovavano l'11 settembre 2001, io non dimenticherò mai la nebbiolina e le foglie ingiallite che rivestivano le strade di Douai, lo scorso 23 novembre 2011, quando i miei passi si stavano affrettando verso il museo della Chartreuse. «Montserrat è morta», questo semplice messaggio inviato da un'amica mi ha lasciato talmente incredulo che l'ho immediatamente richiamata per chiederle se non si trattasse di un errore. Sfortunatamente non lo era. Così, la voce che mi lasciava ammutolito di stupore all'ascolto dei Canti della Sibilla, quella in compagnia della quale canticchiavo Su la cetra amorosa, si è spenta per sempre, anche se la sua eco non mi ha lasciato dal momento di quell'annuncio.

La storia di Montserrat Figueras è quella di un successo musicale tanto più esemplare perché non deve niente alla facilità o ai compromessi. Riusciamo ad immaginarci il coraggio e la passione che portarono la giovane donna fresca di matrimonio, nel 1968, con quello che sarebbe stato il compagno di tutta una vita, Jordi Savall, a decidere di lasciare Barcellona, dove era nata il 15 marzo 1942, per andare a vivere con lui, alla Schola Cantorum della lontana Basilea, la sua passione per la musica antica la cui assenza, in Spagna, di strutture adatte non le aveva permesso di farne il proprio mestiere? La superba armonia che si liberava da questa coppia diventata presto famiglia con la nascita di Arianna (1972) e poi di Ferran (1979), percepibile nella commovente registrazione che li ha visti insieme tutti e quattro, Du temps et de l’instant (Alia Vox, 2005), non deve far scordare quello che ha dovuto profondere in caparbietà e impegno per fondare, nel 1974, Hespèrion XX, e poi per far vivere e prosperare questo come gli altri ensembles che ha creato, dedicati all'esplorazione di repertori più o meno caduti nell'oblio. Fino alla fine della sua vita, Montserrat Figueras avrebbe portato alta la fiamma della musica antica, facendola progressivamente dialogare sempre più con i repertori provenienti da altre culture, con una determinazione e una devozione alla propria arte che niente, se non le sofferenze per il cancro che alla fine l'ha portata via, avrebbe intaccato.

Sarebbe troppo semplice, come qualche volta abbiamo letto o sentito, ridurre il posto del soprano a quello di una musa il cui ruolo principale sarebbe stato quello di sostenere i progetti spesso ambiziosi di suo marito. Sarebbe bastato osservarli qualche breve istante quando erano entrambi sulla scena per capire che la loro complicità era quella di persone di pari grado che camminano con lo stesso passo, unite da un amore, da una fede irremovibile nella musica che servivano. Indissociabili eppure distinti, sufficientemente umili da mettersi al servizio dell'altro con tutto il loro talento. Perché ve ne possiate convincere, ascoltate Lux Feminæ, un disco di una radiosa bellezza la cui cura apportata alla concezione e alla realizzazione testimonia l'importanza che rivestiva agli occhi di Montserrat Figueras, mentre il respiro che lo anima rivela a che punto lei l'abbia realizzato con una tenerezza infinita, e sentite come Jordi Savall, il cui nome in copertina compare solo in mezzo a quello degli altri musicisti, ma la cui presenza attenta è, in ogni istante, la mano posata sulla spalla per infondere il coraggio che serve, dispiega per lei i tesori della propria arte, offrendo alla sua voce uno scrigno amorevolmente cesellato. E che voce! Non di quelle che cercano di imporsi con vane piroette tecniche a scapito dell'espressione, ma, al contrario, di un'eloquenza tale che la forza penetrante della sua dolcezza riesce ad immergere in qualche secondo l'ascoltatore nei dolori di un'indicibile melanconia, come nell'emozionante El Testament d’Amèlia del disco Cançons de la Catalunya mil·lenària o Hor ch’è tempo di dormire di Merula, a illuminargli di sole l'anima, o a trasmettergli il tremore per lo sgomento che assale il credente davanti allo spettacolo del Giudizio universale dipinto in quei Canti della Sibilla che Montserrat Figueras ha saputo così perfettamente incarnare che si fa fatica ad immaginare quelle profezie dai bagliori di tuono cantate da un'altra interprete. Un timbro cangiante, in parti eguali, di riflessi di un'infinita luminosità e di squarci di notte, affascinante perché a volte attraversato da bagliori inquietanti pur restando di un nitore e di una freschezza di fonte, un canto pieno delle voci del passato da cui attingeva l'inestinguibile vitalità e la tenerezza infinita condivise poi con gli ascoltatori.

L'eredità discografica di Montserrat Figueras è grande, quantitativamente e qualitativamente; costituisce un tesoro inesauribile di emozioni, ma anche di insegnamenti a cui melomani e musicisti ritorneranno spesso per nutrire la propria riflessione e la propria sensibilità. Il ricordo di questa donna radiosa e discreta non ha finito di accompagnarci e non si spegnerà che quando morirà il sole.

Qualche consiglio di ascolto per ritrovare Montserrat Figueras:
Lux Feminæ, 900-1600. Selezione di opere che celebra l'immagine della donna attraverso 700 anni di musica, questa antologia è senza dubbio uno dei dischi più commoventi della cantante, che l'ha concepito per intero.
1 SACD Alia Vox AVSA 9847. Questo disco può essere acquistato seguendo questo link.

Estratto proposto:
Testo: Santa Teresa d’Avila (1515-1582)/Musica: Moxica (Cancionero Musical de Palacio, XV-XVI secolo): Alma, buscarte has en Mi

Il Canto della Sibilla:
Una serie di tre registrazioni incantevoli, di cui solo il primo dei due volumi usciti da Astrée, rispettivamente nel 1988 nel 1996, è stato ripubblicato.
El Cant de la Sibil·la – Catalunya. 1 SACD Alia Vox AVSA 9879. Questo disco può essere acquistato seguendo questo link.
El Canto de la Sibila – Galicia, Castilla. 1 CD Fontalis/Auvidis ES 9942. Da ripubblicare.
Il terzo è attualmente disponibile:
El Cant de la Sibil·la – Mallorca, València (1400-1560). 1 SACD Alia Vox AVSA 9806. Questo disco può essere acquistato seguendo questo link.

Cançons de la Catalunya mil·lenària. Un'antologia estratta da un canzoniere catalano, che propone musiche di volta in volta nobili, rallegrate da un'ardente malinconia, trascese dal potere di una voce che, sposandone le più piccole inflessioni, le rende incredibilmente vibranti.
1 SACD Alia Vox AVSA 9881. Questo disco può essere acquistato seguendo il seguente link.


Tarquinio Merula (1595-1665), Su la cetra amorosaarie e capricci. Questa registrazione di musica italiana, uscita originariamente nel 1993 con l'etichetta Astrée, è emozionante dall'inizio alla fine grazie alla facoltà che possiedono gli interpreti di abitare ogni pezzo con una convinzione che lascia senza fiato. Una menzione speciale a Hor ch’è tempo di dormire, canzone spirituale su un ritmo di ninna nanna che chiude il programma e per la quale Montserrat Figueras aveva una particolare tenerezza.
1 SACD Alia Vox AVSA 9862. Questo disco può essere acquistato seguendo questo link.
Estratto proposto:
Hor ch’è tempo di dormire, canzonetta spirituale sopra alla nanna

*

L'unica piccola traccia di Montserrat Figueras che sono riuscita a lasciare finora qui è quella di una delle mie ninne nanne preferite. Oltre a quella de Il Canto della Sibilla, naturalmente.

giovedì 24 novembre 2011

19 aprile 1970 - 24 novembre 2011

"Ci hanno trattato come i cani. Non avrei mai immaginato che sarebbe finita così. Oggi ci saluteremo con i colleghi, tutto quello che c'è qui dentro ci appartiene. Non lo so, ma c'è una giustizia divina."
Un lavoratore della Fiat di Termini Imerese, 24 novembre 2011

Nonostante il tempo trascorso, conservo quasi intatto il ricordo delle emozioni legate a quell'esperienza. Pezzo dietro pezzo, l'impianto emergeva dagli involucri protettivi e dalle gabbie di legno come parti o articolazioni di un gigantesco giocattolo. Ogni articolazione sembrava un indovinello da interpretare: per la prima volta imparavo a leggere un disegno industriale scoprendo che anche un disegno del genere può avere un suo fascino, anzi una sua rigogliosa bellezza, per lo più lineare e immediata, ma tavolta anche tortuosa ed enigmatica.
E qui consentimi una preghiera. Non puoi immaginare quanto mi renderesti felice inserendo nel libro che andrai a scrivere uno di questi disegni, uno soltanto, ma con la raccomandazione al lettore di non girare subito pagina, di non metterlo sbrigativamente da parte rifiutandolo con pregiudiziale insofferenza, ma di osservarlo attentamente, di meditarlo, di sottoporlo a un'accurata ricognizione, centimetro per centimetro, lungo l'armoniosa successione curvilinea dei neri e dei bianchi, dei pieni e dei vuoti.

Ermanno Rea, La dismissione, BUR 2006


Qui ci andrebbe il terzo movimento della sonata BWV 1001 (Siciliana) interpretato da Amandine Beyer, ma in questo mondo qua non lo trovo.


Il manoscritto invece c'è.


E c'è per questo motivo:

Dieses von Johann Sebastian Bach eigenhändig geschriebene treffliche Werk fand ich unter altem, für den Butterladen bestimmtem Papier, in dem Nachlasse des Klavierspielers Palschau zu St. Petersburg 1814.
Georg Pölchau

La calligrafia del manoscritto, però, non sarebbe di Bach, ma di sua moglie Anna Magdalena. Resta il fatto che poi uno si lamenta di non trovare su internet le sonate nell'interpretazione della Beyer per poterle dedicare agli operai di Termini Imerese, quando il manoscritto, trovato nel 1814 a San Pietroburgo tra le carte del pianista Palschau, era destinato a diventare carta di imballaggio di una latteria.

- Me ne dia due etti, di quel formaggio.
- Glielo incarto nell'adagio?
- Lo preferirei nella fuga, oggi.

Sembrava un destino segnato. E invece guardate quel che è riuscita a generare quella carta da formaggio.

domenica 20 novembre 2011

L'omino

Una volta B. ed io siamo andati a vedere una mostra di pittura che interessava ad entrambi. Dal momento della partenza, a Francoforte, fino all'arrivo ad Essen, abbiamo ininterrottamente ascoltato musica dei Rammstein (potenza dell'affetto per B.), parlandoci spesso sopra. Al ritorno, niente musica e solo qualche rara parola scambiata tra di noi (potenza dell'effetto di Caspar David Friedrich), tra cui il mio ricordargli che i tedeschi si sono furbescamente appropriati dello svedese Friedrich (debolezza del mio tendere alla provocazione). Con tutto l'affetto possibile per B. e per i suoi gusti musicali, il silenzioso viaggio di ritorno, se escludiamo la mia provocazione, è stato più bello di quello dell'andata.

La presenza di una Rückenfigur, una figura umana vista di spalle nel paesaggio, che ha generato molti scritti sulla capacità dello svedese di interpretare una visione romantica del mondo, esercita in me un'influenza di gran lunga più forte non nelle opere in cui un omino di spalle attira lo sguardo e contribuisce a condurlo nella direzione voluta dall'autore, ma in quelle in cui lo cerco a lungo senza trovarlo, perché in queste opere - e non sono poche - l'omino non c'è. È lì, nella sua presenza-assenza, proprio al culmine della sua rarefazione, che, libera di guardare la natura privata della presenza umana, divento io stessa l'omino che non c'è.

Non mi capita solo con Friedrich, ma anche con molte fotografie di Luigi Ghirri, che ha provato a guardare il mondo nei due modi detti. Non solo anche lui ha realizzato una lunga serie di opere in cui ha preso di spalle degli uomini e delle altre in cui la figura umana è apparentemente assente, ma si è occupato a fondo, ed esplicitamente, della questione dell'omino.
Fin da bambino, le fotografie che mi piacevano maggiormente erano quelle di paesaggio, che vedevo intercalate negli Atlanti con le carte geografiche. Mi affascinavano particolarmente queste fotografie, dove immancabile, immobile, appariva un piccolo uomo sovrastato dalle cascate del Niagara, monti, rocce, alberi altissimi e palme grandiose, o sul ciglio di un burrone. Questo omino lo trovavo poi nelle cartoline, che raffiguravano piazze più o meno celebri, oppure arrampicato su monumenti storici, o disperso nel foro di Roma, o sotto la torre di Pisa. Quello dell'omino era uno stato di continua contemplazione del mondo, e la sua presenza nelle immagini conferiva a queste un fascino particolare. Non solo era il metro di misurazione delle meraviglie rappresentate, ma grazie a questa misura umana mi restituiva l'idea dello spazio; io lo vedevo in questo modo e credevo attraverso questo omino di comprendere il mondo e lo spazio.
Quando più tardi ho iniziato a fotografare, ho continuato a guardare le fotografie di paesaggio, ma non ho più trovato l’omino. Scenari stupendi, fondali, spazi sempre più deserti ed incomprensibili si susseguivano, si frantumavano, si moltiplicavano in modo sempre più vertiginoso. Ma tutto questo mi sembrava inabitabile, o meglio i luoghi si erano dissolti, erano rimasti splendidi fondali in bianco e nero o in technicolor, l’omino era sparito; se ne era andato via ed aveva portato con sé la rappresentazione dei paesaggi e vi aveva lasciato il loro simulacro.  
Italian Studies, Heffers Printers, 2000
È probabilmente per la scelta dei suoi simulacri, delle parvenze che questi lasciano intravvedere, che le nature morte di Ghirri mi sembrano piene di vita e di presenza umana. Ce n'è una che mi piace particolarmente, scattata nell'atelier di Giorgio Morandi, perché fa elegantemente il verso alle bottiglie di questi usando altri oggetti (dei libri), giocando così con la nostra memoria, e perché lascia ampio spazio al vuoto, al silenzio e alla sospensione del tempo. Per una fortunata coincidenza, i libri di cui si riescono a leggere le copertine nella foto di Ghirri sono delle raccolte di poesie di Tagore e di Leopardi e, per un'altrettanto fortunata coincidenza, la raccolta leopardiana è scompaginata, quasi disossata, mentre quella di Tagore è integra.

Atelier Giorgio Morandi, via Fondazza, Bologna, 1989-1990

Tutto questo per provare ad esprimere quello che Charms avrebbe potuto sintetizzare più o meno così: 

Con omino: Bosch, Bruegel
Senza omino: de Chirico
Con e senza omino: Friedrich, Turner, Ghirri

altrimenti detto

Con omino (dentro o fuori): Bosch, Bruegel, de Chirico, Friedrich, Turner, Ghirri

E questo è (quasi) tutto.

Quasi perché è chiaro che dietro ad ogni parola fin qui inserita avevo in mente una poesia:

Dicono che la mia
sia una poesia d’inappartenenza.
Ma s’era tua era di qualcuno:
di te che non sei più forma, ma essenza.
Dicono che la poesia al suo culmine
magnifica il Tutto in fuga,
negano che la testuggine
sia più veloce del fulmine.
Tu sola sapevi che il moto non è diverso dalla stasi,
che il vuoto è il pieno e il sereno è la più diffusa delle nubi.
Così meglio intendo il tuo lungo viaggio
imprigionata tra le bende e i gessi.
Eppure non mi dà riposo
sapere che in uno o in due noi siamo una cosa sola.

Eugenio Montale

È sicuramente meno chiaro che dietro ad ogni parola avevo in mente anche un'amicizia a tre di breve, ma intensa durata. Nel periodo in cui è durata, ciascuno di noi tre ha fotografato delle figure di playmobil, gli omini per eccellenza dei tempi moderni, se non ultramoderni, con quel loro imperturbabile sorriso cristallizzato, che nessun evento riesce a scalfire. Al di là degli scarsi, se non nulli, esiti artistici, il gioco, in quanto gioco, non aveva nulla di superficiale, prova ne sia che da quando il rapporto si è concluso, non ho fotografato più alcun playmobil e, più in generale, sono tornata a fotografare pochissimo, quasi nulla, come era mia abitudine prima di quell'amicizia. Gli altri due partecipanti al gioco sembrano essersi dati una spiegazione della fine del rapporto e hanno dimostrato, seppur in modo diverso, il raggiungimento di un radicato convincimento che si sta esprimendo in un lungo silenzio, tanto ostinato quanto ostinati sono stati i miei tentativi di romperlo: uno ha affermato che sono emerse delle incompatibilità che erano presenti fin dall'inizio, l'altro che alcuni rapporti sono destinati a non durare. Io non lo conosco ancora, il vero Perché di quell'interruzione, anche se ho cercato di attribuirlo ad una fase non fortunatissima della mia vita: ora so solo che non ho interesse a trovarlo più e che forse (ripeto: forse) ha avuto a che fare con una questione di assenza-presenza, distanza-vicinanza e vuoto-pieno. L'ultimo mio tentativo di rompere il silenzio risale ad un paio di mesi fa. Resterà l'ultimo da quando ho ritrovato una pagina di Marías (che con tutta probabilità pensano si attagli perfettamente a me), un autore che, suo malgrado, è destinato a fare la stessa fine delle mie fotografie, scomparire dal mio paesaggio quotidiano, forse per essere più presente in quello del ricordo.
Hay personas que no perdonan que se porte uno bien con ellas, que les tenga lealtad, que las defienda y les preste su apoyo, no digamos que les haga un favor o las saque de algún apuro, eso puedes ser la sentencia definitiva para el bienhechor, me juego lo que sea a que conocerás tus ejemplos. Parece como si esas personas se sintieran humilladas por el afecto y la buena atención, o pensaran que con eso se las hace de menos, o no soportaran creerse en imaginaria deuda, u obligados a gratitud, no sé. Claro que esos individuos no querrían lo contrario tampoco, válgame el cielo, son de una gran inseguridad. Y no perdonarían aún menos que se portase uno mal y con deslealtad, que les negara favores y los dejara metidos en sus atolladeros. Hay personas que simplemente resultan ser imposibles, y lo único sabio es apartarse de ellas y mantenerlas lejos, que no se te acerquen ni para bien ni para mal, que no cuenten contigo, no existir para ellas, ni siquiera para combatirlas. Claro que eso es un desideratum. Por desgracia uno no resulta invisible a voluntad y según su elección. 
Javier Marías, Tu rostro mañana. Fiebre y Lanza, Alfaguara
Che un giorno, ad interrompersi, sia quel silenzio, resta il mio desideratum.

giovedì 17 novembre 2011

17 novembre 2011

Cavatore folgorato
operaio ucciso da un getto d'acqua
manovale schiacciato da una paratia
manovratore travolto da un carrello elevatore.

Non è una poesia
è il sommario
di un articolo del Corriere di oggi.

Del cavatore
dell'operaio
del manovale
del manovratore
mancano
i nomi.

Andrea
Gianfranco
Mircea
Mario.

martedì 15 novembre 2011

Il fine orecchio di Giove

Dunque primieramente in provvedere
A se di novo capo in quelle strette
Porre ogni lor pensier le afflitte schiere
Per lo scampo comun furon costrette:
Dura necessità, ch’uomini e fere
Per salute a servaggio sottomette,
E della vita in prezzo il mondo priva
Del maggior ben per cui la vita è viva.

Stabile elezion per or non piacque
Far; né potean; ma differire a quando
In Topaia tornati, ove già nacque
La più parte di lor, la tema in bando
Avrian cacciata, e le ranocchie e l’acque
E seco il granchio barbaro e nefando,
Né credean ciò lontan lunga stagione,
Avrian posto in eterna obblivione.

                               

 Miratur Agenore nata,
quod tam formosus, quod proelia nulla minetur;
sed quamvis mitem metuit contingere primo,
mox adit et flores ad candida porrigit ora.
gaudet amans et, dum veniat sperata voluptas,
oscula dat manibus; vix iam, vix cetera differt;
et nunc adludit viridique exsultat in herba,
nunc latus in fulvis niveum deponit harenis;
paulatimque metu dempto modo pectora praebet
virginea plaudenda manu, modo cornua sertis
inpedienda novis; ausa est quoque regia virgo
nescia, quem premeret, tergo considere tauri,
cum deus a terra siccoque a litore sensim
falsa pedum primis vestigia ponit in undis;
inde abit ulterius mediique per aequora ponti
fert praedam: pavet haec litusque ablata relictum
respicit et dextra cornum tenet, altera dorso
inposita est; tremulae sinuantur flamine vestes.

Ovidio, Metamorfosi, II, 858-875

Dopo anni di inani tentativi e molte insistenze, la dea della democrazia, Sola, riuscì a convincere Giove ad ascoltare le preci del popolo di Roma.

- Gioove! Gioove! Gioove!
- ...
- Gioove!
- ...
- AGGIOVE!
- Anvedi, ancora la pischella. Che d'è?
- Giove, sono 17 anni che non muovi neanche un dito mignolo, per il popolo di Roma.
- E daje co' 'sta storia. Nun me va de faticà, gnaafò. Nun hai visto che anche quanno c'ho le sembianze de Zzeus nun lancio manco un nocciolo d'oliva sull'Ellade?
- Fallo almeno per Europa. Non ci pensi proprio più, ad Europa?
- Eh, se ce penzo, tutti i ggiorni che mando sulla tera, ce penzo.
- Allora rispondi al popolo di Roma. Dice che se gli dai quello che chiede, Europa ritorna da te, in tutto il suo splendore.
- Ma davero davero? E che vvo', er popolo?
- Non lo senti? Mari e monti, Giove, mari e monti.
- E che cce vo'. Ecchetelo tiè.

domenica 6 novembre 2011

Appena m'addormo, sto... sto.. in guerra, sto in guerra tutt'e nnotte (la guerra dentro il sogno)

Massimo Troisi, Ricomincio da tre, 1981

Da qualche anno soffro un po' di insonnia e da qualche mese parecchio, al punto che, quando mi addormento, tutti hanno già sognato tutte le guerre possibili e a me non resta che sognare i trattati di pace. Li conosco tutti, dalla titanomachia in poi.

Però non ricomincio, rallento. La tentazione vera sarebbe quella di fermarmi, ma siccome devo averla espressa ormai una decina di volte negli ultimi anni, senza mai portarla a conclusione, ed un migliaio di volte devo invece averla solo pensata con analoghi risultati, questa volta mi astengo dal commettere lo stesso errore.

Allora formalizziamola, 'sta cosa.

Caro lettore,

mi sento di rallentare. Durante le mie assenze, se puoi, cerca di leggere molta poesia e di leggerla nel maggior numero di lingue possibili dando almeno un'occhiata al testo originale, quando ricorri ad una traduzione (una traduzione vera: io qui faccio esercizio, spesso con fatica eppur volentieri, per il piacere di farlo e di farlo lontano da processi chimici, catalizzatori e robe così - non so se te l'ho mai detto -  e lontano in generale). Altrimenti rischi di fare la fine del Guardian, che nella sua sezione culturale usa impropriamente un tag poetry al posto di un più corretto English poetry, come se, al di là del suo giardino all'inglese, pur bello e prezioso e adornato di straforo di non pochi fiori irlandesi, il resto del mondo non esistesse. Magari avrai notato che ogni tanto vi scrivono di Brodsky (anglicismo) o di qualche altro fondamentale poeta di lingua non inglese. C'è sempre una ragione eminentemente anglosassone per farlo: Brodsky, ad esempio, risponde ai criteri di pubblicabilità sul Guardian perché amava Auden. Sulla pochezza delle pagine culturali dei giornali italiani non serve spendere molte parole. Mi limito al minimo sindacale: L'Unità ha dedicato il coccodrillo a Zanzotto intitolandolo "Morto il poeta Andrea Zanzotto. Disse "La Padania non esiste"": una mancanza di rispetto, oltre che un truismo. La Repubblica nasconde la cultura dietro la televisione, l'uscita musicale del momento (e non quella indipendente) e internet. La terza pagina de Il fatto quotidiano fa piangere le poche lacrime rimaste. El País offre raramente qualche intervento interessante. Idem per Le Monde. Non che per i giornali tedeschi sia molto meglio, però quelli conservatori si difendono in genere meglio rispetto a quelli di area progressista. Uno dei quotidiani con le pagine culturali più ricche e belle è, per come la vedo io, la Neue Zürcher Zeitung: prova, se credi, a puntare il tuo mouse su Kultur, accessibile dalla prima pagina. Magari ci penserai due volte, la prossima volta, prima di prendere per il culo la Svizzera, se sei uno di quelli che tende a farlo con particolare frequenza e brio, ma, visto il bersaglio, con non troppa fantasia.
La questione personale che ho con il Guardian mi ha allontanato dal parlarti dei libri di poesia. C'è un iceberg di poesie che si trova nei libri e non su internet, specie le poesie dei poeti più giovani e di quelli più antichi e dimenticati che seguono percorsi individuali, irritanti (einzelgängerisch, zeitgeistunfreundlich), o in quanto piccoli fari puntati su angoli bui o perché volutamente modesti, privi di ogni virtuosismo e di ogni volontà di stupire ad ogni costo, che non si prestano necessariamente ad essere rimbalzati qua e là come una palla da Twitter o Tumblr. Non sono sempre riuscita a proporteli come avrei voluto, vuoi per codardia vuoi per mancanza di parole per farlo. Abbi pazienza. Se ce l'ho io, che per natura sono irrequieta, puoi averla pure tu.
L'ho già scritto e lo ripeto: in Germania si acquistano 135 copie per ogni nuovo titolo di poesia, in media. Qualcosa mi dice che in Italia siano meno. Le sezioni delle librerie dedicate alla poesia, quando ci sono, sono vicino ai manuali di giardinaggio (in sé una nobile disciplina, ma editorialmente trattata malissimo), se va bene, o ai testi teatrali, ma siccome non sempre c'è la sezione del teatro, alle volte la poesia scompare tra le discipline più impensate. Alle volte le sezioni comprendono uno scaffale o anche una porzione di scaffale. Con gli anni e l'esperienza lo si trova velocemente: è lo scaffale più lontano da qualsiasi punto in cui ci si trovi (la cosa meriterebbe un teorema a sé, come fece (lo svizzero) Eulero ispirandosi ai ponti di Königsberg), il più nascosto, il meno accessibile, e contiene una costola che reca in caratteri più marcati la scritta NERUDA o MERINI. In una non piccolissima libreria di Trieste, una volta, mentre cercavo lo scaffale in questione, prima di scoprire che non c'era proprio, mi sono soffermata tra i dizionari della lingua italiana e vi ho trovato un libro di anatomia della lingua. Ovviamente, se mi conosci un po', non ti è difficile immaginare che l'ho leggiucchiato e ho guardato con interesse tutte le figure, muscolo per muscolo, papilla per papilla, l'ho riposto e non ho detto nulla ai commessi per aumentare la probabilità che venisse ripreso in mano un giorno da un altro casuale e divertito lettore. È anche così, mettendoti alla caccia di libri di poesia, che puoi fare delle scoperte e creare indiretti legami con delle persone ignote. In Francia sto cercando da un bel po' poesia africana, con risultati al momento pessimi: tutto un tripudio di SENGHOR, che però optò per esprimersi in francese. Sullo scaffale medio NERUDA c'è anche qui, la MERINI no.

Eccoci qua. Quello che ho ancora da dirti per oggi è grazie, caro lettore: ringrazio te per essere qui e, assieme a te, tutti quelli che nel tempo mi hanno letta e mi hanno incoraggiata, anche solo idealmente.

Arrivederci,

Francesca

P.S. Era una vita che volevo piazzare uno Zeitgeist da qualche parte.
P.P.S. La prima versione di questo post prevedeva la chiusura del blog. Per trasformalo in un annuncio di rallentamento, mi ci sono voluti 3 minuti netti. Sono sempre più convinta che internet sia fragile né più né meno della biblioteca di Alessandria.
P.P.P.S. 3' e 10'': i secondi necessari per raccogliere una r caduta qua da "trasformarlo".
P.P.P.P.S. (scritto dopo la lettura dell'ultimo post di Giovanni e dei relativi commenti, che mi fa piacere trovare, in questa come in altre occasioni, all'altezza dello scritto che li ha stimolati) È possibile che il mio ennesimo accenno alla fragilità di internet si sia temporalmente incrociato con quello fatto tra i commenti di Bat Bean Beam. È anch'esso un fatto effimero, forse solo una coincidenza, forse no. Quando internet si trasformerà in qualcosa d'altro o diventerà obsoleta e verrà abbandonata a favore di un altro mezzo, non è detto che la mole dei dati che vi stiamo riversando sia recuperabile, o per motivi tecnici (perché non si potrebbe guastare irrimediabilmente con la stessa velocità con cui comunicano i diversi nodi?) o per le scelte, più o meno arbitrarie, che saranno operate dagli amanuensi del futuro. Della storia e della filosofia greca antiche, in fin dei conti, sappiamo relativamente poco e quel poco lo sappiamo essenzialmente grazie ad un progetto folle, eppur realizzato, di traduzione sistematica operato dagli arabi in Spagna. Ovviamente, c'è da sperare che gli amanuensi del futuro non perdano tempo a decifrare questo blog e che passino da Giovanni o da Studiolum, prima di tutto, se mai avranno un'unità che si occupa di blog. 

Krakow, Kazimierz

Bruni Schulzu


Nikada bog nije prošlost i sadašnjost
sljubio s tako teškim ljepilom
kakvo sam posvuda u zraku
udisao tamo pokraj Wisle
o ti, yingele
tražeći dućane cimetove boje
u kojima su ti preci jednom davno
šaptom i mukom
prokleli sve jutarnje zvijezde
što zanavijek su im ostale prišivene
za rukave i tvoje snježne oči

sada poljubi sipu
koja rasipa slatko crnilo smrti
da ti san
iznova ne nađe put do pučine.

Pomoli se utvarama koje na nebu
za nekog drugog
crta polarna svjetlost
i nikome ne pričaj
što si vidio tamo u bjelini
o ti, yingele.

Tko je i jednom hodao
za bilo čijim stopama u snijegu
zna da se nitko ne vraća istim putem
kojim je jednom pokušao
prevariti vrijeme

u snijegu nas bog još jasnije vidi
snijeg pada tek kada se njemu pomrači vid
bog snijegom liječi svoj neizlječiv strah.

Magle sa sjevernih mora
putovale su još dugo i daleko
što južnije i južnije u ravnicu
kako bi prvorođeni u njima
skrio svoju umornu vojsku

tako je
uvijek sam mislio
nastajala Poljska
i kada se god
magla s kasne jeseni
spusti u Kazimierz
ja opet vidim tolike utvare
kako pokušavaju
kao prljave rite
spaliti svoje vlastite sjene
izgovarajući imena
o ti, yingele
svih mojih znanih
i tvojih neznanih mrtvih.

Tko je i jednom hodao
za bilo čijim stopama u snijegu
stići će zato, makar u snu
na kraju puta
jednom u Kazimierz

tu reći dome
zašto me ostavi
o ti, yingele.

Delimir Rešicki
Aritmija, Meandar, Zagreb, 2005


A Bruno Schulz

Mai dio ha unito passato e presente
con una colla così tenace
come l'ho respirato
nell'aria vicino a Wisła,
o yingele,
quando cercavo le botteghe color cannella
in cui i tuoi antenati un tempo molto lontano
bisbigliando e tacendo
maledivano tutte le stelle del mattino
cucite per sempre
alle loro maniche e ai tuoi occhi di neve

ora bacio la seppia
che cosparge il dolce nero della morte
per impedire al tuo sogno
di ritrovare la via al mare aperto.

Prega per un altro i fantasmi
indicati nel cielo
dalla luce polare
e non raccontare a nessuno
quello che hai visto nel bianco,
o yingele.

Chi ha seguito
impronte nella neve
sa che nessuno ritorna sullo stesso cammino
lungo il quale ha già provato
a beffare il tempo

nella neve dio ci vede più chiaramente
la neve cade solo quando la sua vista si oscura
dio cura con la neve la sua incurabile paura

Le nebbie dei mari del nord
hanno viaggiato a lungo e lontano
sempre verso sud nella pianura
perché il primo nato potesse
nascondervi il suo esercito stanco

così è nata la Polonia
ho
sempre pensato
e sempre, quando
la nebbia nell'autunno inoltrato
si posa su Kazimierz
vedo così tanti fantasmi
che cercano
di bruciare le proprie ombre
come luridi stracci
pronunciando i nomi,
o yingele,
di tutti i miei conoscenti
e dei tuoi ignoti morti.

Chi ha seguito
impronte nella neve
per questo motivo giungerà, anche se solo in sogno
alla fine del suo viaggio
a Kazimierz

e là dirà
paese mio
perché mi hai abbandonato,
o yingele.


(yingele è piccino in yiddish)

sabato 5 novembre 2011

hab sagen gehört, es gäb einen Ort

hab sagen gehört, es gäb einen Ort
für alle verschwundenen Dinge, wie

die verschiedenen Sorten von Äpfeln
die Clowns und die Götter, darunter

auch jenen guten Gott von Manhattan
Karl-Marx-Stadt und Konstantinopel

Benares und Bombay und die Namen
von zu vielen Braunkohledörfern

befänden sich, habe ich sagen gehört
in der Mitte des Weißtannenwalds

der jede Schallwelle schluckt. der Ort
wär, so habe ich sagen gehört,
auf keiner gültigen Karte verzeichnet.

Ulrike Almut Sandig


ho sentito dire che ci sarebbe un posto
per tutte le cose scomparse, come

le diverse qualità di mele
i clown e gli dei, tra i quali

anche quel buon Dio di Manhattan
Karl-Marx-Stadt e Costantinopoli

Benares e Bombay e i nomi
di troppi paesi di lignite

si troverebbero, ho sentito dire,
in mezzo al bosco degli abeti bianchi

che assorbe ogni onda sonora. il posto
non sarebbe segnato, così ho sentito dire,
su nessuna carta reale.

Сон

Калугин заснул и увидел сон, будто он сидит в кустах, а мимо кустов проходит миллиционер.
Калугин проснулся, почесал рот и опять заснул, и опять увидел сон, будто он идет мимо кустов, а в кустах притаился и сидит милиционер.
Калугин проснулся, положил под голову газету, чтобы не мочить слюнями подушку, и опять заснул, и опять увидел сон, будто он сидит в кустах, а мимо кустов проходит милиционер.
Калугин проснулся, переменил газету, лег и заснул опять.
Заснул и опять увидел сон, будто он идет мимо кустов, а в кустах притаился и сидит милиционер.
Тут Калугин проснулся и решил больше не спать, но моментально заснул и увидел сон, будто он сидит за милиционером, а мимо проходят кусты.
Калугин закричал и заметался в кровати, но проснуться уже не мог.
Калугин спал четыре дня и четыре ночи подряд и на пятый день проснулся таким тощим, что сапоги пришлось подвязывать к ногам веревочкой, чтобы они не сваливались. В булочной, где Калугин всегда покупал пшеничный хлеб, его не узнали и подсунули ему полуржаной.
А санитарная комиссия, ходя по квартирам и увидя Калугина, нашла его антисанитарным и никуда не годным и приказала жакту выкинуть Калугина вместе с сором.
Калугина сложили пополам и выкинули его, как сор.

Даниил Хармс

Sogno

Kalugin si addormentò e sognò che stava nascosto in mezzo a dei cespugli e che davanti ai cespugli passava un poliziotto.
Kalugin si svegliò, si grattò la bocca e si riaddormentò, e di nuovo sognò che passava davanti a dei cespugli e che nei cespugli stava nascosto un poliziotto.
Kalugin si svegliò, si mise un giornale sotto la testa per non bagnare di saliva il cuscino e si riaddormentò, e di nuovo sognò che stava nascosto in mezzo a dei cespugli e che davanti ai cespugli passava un poliziotto.
Kalugin si svegliò, cambiò il giornale, si sdraiò e di nuovo si addormentò. Si addormentò e di nuovo sognò che passava davanti a dei cespugli e che nei cespugli stava nascosto un poliziotto.
A questo punto Kalugin si svegliò e decise di non dormire più, ma si riaddormentò all’istante e sognò che stava nascosto dietro a un poliziotto e che davanti a loro passavano dei cespugli.
Kalugin si mise a gridare e a dimenarsi nel letto, ma ormai non riusciva più a svegliarsi.
Kalugin dormì quattro giorni e quattro notti di seguito, e il quinto giorno si svegliò così magro che gli toccò legarsi gli stivali alle gambe con uno spago perché non gli cadessero giù. Nella panetteria dove di solito Kalugin comprava il pane bianco non lo riconobbero e gli rifilarono del pane di mezza segala.
E la commissione sanitaria, facendo il giro degli appartamenti, trovò Kalugin antigienico e inservibile, e ordinò al comitato inquilini di gettarlo via con la spazzatura.
Kalugin fu piegato in due e gettato via come spazzatura.

Daniil Charms, Casi, a cura di Rosanna Giaquinta, Adelphi, 2008

K.grad

man möchte den Kindern sagen
ihr müsst vor nichts Angst haben
geht nackt
gründet eure eigene Republik
schlaft in weichen Betten
und träumt
träumt

     sagen was ist kann jeder
     es gibt Höheres als Überprüfbarkeit


     (auch in der schlechten Schule lernt man etwas
     Autoritätsunterwanderung
     zum Beispiel)





träumtträumt
und erwacht


der Stern im Fenster gegenüber
Leuchtturm 1917
und nun ins Spielzimmer
              mit dir
              Kalinin


              Grünorgien
              Kammgitter

              
              Kohlendioxidberge


alte Überbleibsel, wie von einer untergegangenen Zivilisation, fast prähistorisch, kaum mehr zu verstehen, wozu sie einmal gebraucht wurden, und doch ist alles erst 20 Jahre her


              noch immer bewohnt




Landschaft
Weichbild
Peripherie






ihr Kinder mit den immer zottelnden Mähnen wehenden Haaren
ihr Kinder mit eurer Schatzkiste



(1) beklage dich nie über eine Situation, während die Situation noch akut ist
(2) wenn du es nicht galuben kannst, dass alles wirklich passiert ist, dann tu so, als wär's ein Film
(3) wenn die Situation vorbei ist, such dir einen, dem du die Schuld gibst, und sorge dafür, dass er das nie vergisst

Bettina Hartz


K.grad

ai bambini si vorrebbe dire
non dovete avere paura di nulla
andate nudi
fondate la vostra repubblica
dormite su letti morbidi
e sognate
sognate

     dire cos'è lo possono fare tutti
     ci sono cose più elevate della verificabilità



     (anche in una cattiva scuola si impara qualcosa
     l'infiltrazione dell'autorità
     per esempio)





sognatesognate
e svegliatevi


la stella nella finestra di fronte
faro nel 1917
e ora vengo nella stanza dei giochi
              con te
              Kalinin


              orge verdi
              reticolati di pettini

              
              montagne di anidride carbonica


vecchi resti, come di una civiltà scomparsa, quasi preistorica, di cui si capisce poco a cosa servissero una volta, eppure tutto risale ad appena 20 anni fa


              ancora abitati




paesaggio
circondario
periferia






voi bambini con i capelli sempre al vento le chiome danzanti 
voi bambini con la vostra cassa del tesoro


(1) non lamentarti di una situazione quando la situazione è ancora acuta
(2) se non riesci a credere che tutto è veramente successo, fai finta che sia un film 
(3) quando la situazione è passata, cerca uno cui dare la colpa e fai in modo che non se lo dimentichi mai

venerdì 4 novembre 2011

Moerlemaaie

suver leven ende vri
gaet voor gout en dierbaer stene
Bouden van der Loore, De maghet van Ghend

vivere onesti e liberi
passa davanti all'oro e alle pietre preziose

Les rébellions quasi universelles des années 1280 sont assez mal connues, sans doute parce qu'elles ont échoué. A Lille les séditieux furent bannis ; à Douai ils furent, dit-on, pendus aux nochères de leurs maisons ; à Saint-Omer ils furent enfouis vifs en 1285. A Arras le mécontentement du commun, latent dès 1275, éclata en 1285 : l'enquête du 1289 révéla les abus classiques, judiciaires, fiscaux et financiers, des oligarques, mais en 1285 on s'en était pris aux riches : le conflit avait glissé du politique au social. A Bruges la situation était tendue et les oligarques divisés. La Moerlemaaie éclata en septembre 1280 à l'occasion de la reddition des comptes imposée par le roi le 10 juillet 1279. Le commun rédigea une plainte contre les échevins. La liste des complaignants montre que le commun était socialement hétérogène, le parti opposé de même. Il s 'agissait donc bien du gouvernement de la ville, non de l'ordre social. Le commun se soumit en avril 1281. Dans une seconde phase (mai et septembre 1281) il y eut des violences et des graves sanctions : c'était sans doute la phase sociale. Il en fut de même à Ypres avec la Cokerulle (5 octobre 1280). La sentence comtale du 1er avril 1281, assez modérée d'ailleurs, montre que les drapiers avaient fait cause commune avec les métiers contre les échevins et les marchands : le commun était encore à peu près uni. Puis le compte imposa la reddition publique des comptes. Peu après éclata une seconde révolte, sociale celle-là : des riches furent égorgés, les foulons et les tisserands de Poperinge et des villages voisins envahirent la ville. En juin-juillet la répression fut féroce. Le souvenir en fut durable : le 29 novembre 1303 les métiers « murdrirent » des échevins et des bonnes gens pour leurs « anciens méfaits ». Il est évident que le commun avait éclaté en 1281 : les bonnes gens d'un côté, les travailleurs de l'autre. 

Alain Derville, La société française au Moyen Âge, Presses universitaires du Septentrion, 2000

Łydki

Wiersz
Horyzonty pękają jak flaszki zielona plama pęcznieje
pod chmury przenoszę się znowu do cienia pod sosny
— stąd:
dopijam chciwym haustem
moją codzienną wiosnę.

Moje tłumaczenie
Łydki, łydki, łydki, łydki, łydki, łydki, łydki
Łydki, łydki, łydki, łydki, łydki
— Łydka :
łydka, łydka, łydka
łydki, łydki, łydki.

Witold Gombrowicz, Ferdydurke


Poesia
Gli orizzonti scoppiano come bottiglie una macchia verde gonfia
sotto le nuvole ritorno all'ombra dei pini
— per cui:
aspiro con bocca avida
la mia primavera quotidiana.

Mia traduzione
Polpacci, polpacci, polpacci, polpacci, polpacci, polpacci, polpacci
Polpacci, polpacci, polpacci, polpacci, polpacci
— Polpaccio:
polpaccio, polpaccio, polpaccio
polpacci, polpacci, polpacci.

Copertina della prima edizione di Ferdydurke, illustrazioni di Bruno Schulz, Rój, Varsavia, 1938, Museo della letteratura Adam Mickiewicz
*

La conferenza di Bruno

Temo di essermi eccessivamente dilungato sul tema "Oriente-Occidente" e "polacco-europeo", ma solo perché il nostro dialogo è destinato al lettore occidentale, che si sentirà particolarmente incuriosito dal mio preteso "complesso di inferiorità" nei confronti dell'Occidente. Eh no, signori: troppo facile! Torno a ripetere che qui non si tratta di complessi, ma di qualcosa di più grave, ossia di reale inferiorità e reale superiorità.
È ora di osservare che quella specie di sfogo che fu per me Ferdydurke non si limitava soltanto a quei problemi, ma che vi si agitavano anche contenuti più ardui e confidenziali.
All'incirca nel momento in cui mi accingevo a entrare in chiesa con il cappello in testa, il mio eccellente amico Bruno Schulz (troppo poco noto in Francia) arrivava a Varsavia dalla Galizia orientale per tenere una conferenza su Ferdydurke presso la Società dei Letterati. Una conferenza che suscitò le proteste dei corifei della Letteratura Polacca Matura riuniti in sala, dimostrando che il mio pamphlet almeno una tempesta in un bicchier d'acqua era capace di suscitarla. In quella conferenza Bruno espose una delle analisi più profonde che siano mai state fatte di Ferdydurke, cosa tanto più degna di nota in quanto accadeva in tempi antidiluviani.
Tra le altre cose, Bruno sottolineò la "zona di sottocultura" in cui si svolgeva il mio romanzo e il suo "corredo di forme di categoria inferiore".

Roux: Che cosa significa?

Gombrowicz: Che in Ferdydurke si svela un mondo inferiore, vergognoso, difficile da confessare e da esprimere (che tuttavia non è il mondo dell'istinto e del subconscio in senso freudiano), e che è il risultato del seguente processo: nei nostri rapporti con gli altri desideriamo apparire il più possibile colti, superiori e maturi, per cui usiamo un linguaggio maturo, con termini quali il Bene, il Bello, il Vero. Ma poiché nel nostro intimo ci sentiamo insufficienti e immaturi, quegli altisonanti ideali crollano rovinosamente e noi li sostituiamo con una nostra mitologia privata che è, sì, cultura, ma una cultura scadente, di seconda mano, a misura della nostra insufficienza. Un mondo, a detta di Bruno, fatto con gli scarti del nostro banchetto ufficiale: come se stessimo a tavola e sotto la tavola.
Per esempio: l'ideale di bellezza femminile di Ferdydurke, la sua Venere, è una piccola liceale moderna che affascina gli uomini con i suoi polpacci; l'altro dio di questa mitologia di seconda mano è il garzone con il quale Miętus vuole "frater...nizzare" (non "fraternizzare", ma "frater...nizzare", il che è molto peggio). Ferdydurke è pieno di questi ideali immaturi, di questi miti di seconda mano, di bellezze di serie B, di grazie da quattro soldi e di dubbie seduzioni...
Schulz sottolineò il fatto che quel mondo, più che un effetto della liberazione dell'istinto, era soprattutto un effetto della degradazione della Forma. Esternamente desideriamo essere il più colti possibile... ma proprio per questo, internamente siamo al di sotto della nostra cultura... e la trasciniamo giù, fino al nostro livello.
"In questo mondo non c'è spazzatura ideologica, cascame concettuale e paccottiglia formale che non abbia il suo corso e i suoi ammiratori" disse Bruno in quella conferenza.
"Qui si svela in tutta la sua pochezza la struttura della mitologia, la tirannia nascosta nelle forme sintattiche, la violenza e la rapacità delle frasi fatte, il potere della simmetria e dell'analogia."
E ancora: "Gombrowicz ci è arrivato non per la strada piana e sicura della spassionata speculazione intellettuale, ma attraverso la patologia, la sua personale patologia."
Giusto.
In seguito avemmo una conversazione fondamentale durante la quale mi rimproverò amaramente di non essere all'altezza di quello che scrivevo. Seduto su una seggiola, replicavo qualcosa alla meglio, ma in cuor mio gli davo ragione. Non ero all'altezza. Ero lo specialista dell'inferiorità, ma in quanto persona, in quanto Witold Gombrowicz a metà tra la città e la campagna, ero anch'io al di sotto della mia opera... Come mai non potevo celebrare la mia vittoria? Eppure la mia maledetta patologia l'avevo buttata fuori, ormai stava nel libro, era solo un mio tema, non me. Allegro, autore: stavolta hai dissotterrato le tue vergogne profonde e le hai rigettate all'esterno! Allegro, inventore della sottocultura: promossa a rango di "zona di sottocultura", la tua spazzatura è diventata il tuo vanto!
Mah!
Io, seduto su una seggiola. Una mosca. Il lavoro artistico contiene in sé una profonda ingiustizia: scriviamo con il terrore di far brutta figura nel caso che l'opera non riesca (e a ragione, in quanto il fallimento di un'opera è una vergogna personale); ma quando l'opera si rivela più o meno riuscita, non ne ricaviamo nessun vantaggio personale, anzi oserei dire nessuna soddisfazione. Un'opera ben riuscita vive di vita propria, ha una sua esistenza separata ed è di ben poca utilità alla vita dell'autore.
Una mosca. Tra me e Ferdydurke accadeva esattamente quello che, nelle sue pagine, accadeva ai suoi eroi. Trasformata in cultura, l'opera planava nella stratosfera, mentre io restavo in basso; e forse mi stava anche bene così, forse mi si confaceva di più, forse mi sentivo più a mio agio nella mia tana. Una mosca. E poi? Forse (come ho già scritto nel mio Diario), forse tutto sommato preferivo tenermi la mia gioventù e la mia immaturità.

Witold Gombrowicz, Testamento, traduzione di Vera Verdiani, Feltrinelli, 2004

*


6.2.1961

Cosa strana - mi è impossibile ricordare come ho fatto la conoscenza di Bruno Schulz. È stato durante una delle riunioni che organizzava Zofia Nałkowska? No, mi aveva senz'altro telefonato dopo aver letto le mie Memorie del tempo dell'immaturità, per dirmi che voleva parlare con me.
Conservo per contro un'immagine molto nitida di lui, per come lo vidi la prima volta: un omino. Piccolo e spaurito, parlante a bassa voce, modesto, tranquillo e dolce, ma con tracce di crudeltà, di severità nascosta nel fondo dei suoi occhi quasi infantili.
Questo omino fu il migliore artista tra tutti quelli di cui feci la conoscenza a Varsavia - incomparabilmente migliore di Kaden, Nalkowska, Goetel e tanti altri accademici delle lettere, aureolati dalle onoreficenze e regnanti come gran signori nella stampa e nei salotti della capitale. La prosa che nasceva sotto la sua penna era creatice e immacolata, era l'artista più europeo tra di noi, il più degno di siedere nel cerchio della più alta aristocrazia intellettuale e artistica dell'Europa. Eppure, quando feci la sua conoscenza - fu dopo la pubblicazione del suo primo libro, Le botteghe color cannella - Bruno era un modesto maestro di scuola di Drohobycz venuto per qualche mese nella capitale, una creatura senza difesa a cui si picchiettava sulla spalla. E, fino alla sua morte tragica in un campo tedesco(*), rimase un piccolo pedagogo stupefatto e provinciale. E temo che sia troppo tardi oggi (per delle ragioni che evocherò tra breve) perché la sua arte si possa imporre in Occidente. E persino in Polonia, chi lo conosce oggi? Qualche centinaio di poeti? Qualche scrittore? È rimasto quello che è stato, un principe viaggiatore in incognito.
A quell'epoca, quando venne a trovarmi a casa, in via Sluzewska, la sua situazione letteraria era malgrado tutto molto più solida della mia. Non era riuscito a raggiungere un vasto pubblico, ma era noto e apprezzato dall'élite. Tuttavia, c'era nella natura masochista di Bruno un bisogno di ritirarsi in secondo piano.... preferiva ammirare che essere ammirato. A bassa voce, su un tono di confidenza e con bontà, ma una bontà strana, improntata ad una "durezza segreta", si mise a prodigarmi lodi starordinarie.
"Che opera! Sono abbagliato dai suoi racconti... Non sarei mai capace di produrre qualcosa di simile..."
Scoprii più tardi, non senza delusione, che Bruno non era avaro di complimenti entusiasti per qualche altro scrittore - e non solamente perché amava fare piacere: nel cuore di questo provinciale si nascondeva un gusto per il lusso, per i più alti gradi gerarchici, per la gloria, per l'orgoglio. Tuttavia, questa severità quasi dolorosa di cui si avvertiva la presenza non tanto in lui quanto attorno a lui - come se questa spiasse da dietro un angolo - mi costringeva a prendere molto sul serio la sua opinine sulla mia scrittura. E potei rendermi conto molto presto che non si trattava di luoghi comuni - nessuno mi ha dimostrato altrettanta amicizia generosa e mi ha sostenuto con altrettanto fervore.
Questo fu il preambolo a numerose conversazioni che avemmo su temi che non erano quasi mai personali  - Bruno riportava da Drohobycz un desiderio insaziabile di comunicazione spirituale e intellettuale, che lo rendeva a volte febbrile e stancante. Faceva domande ed ascoltava - io mi sfogavo e discorrevo - e commentava, precisava, penetrava fino al fondo delle cose ponendo senza posa nuove domande. Fin dal primo momento aveva assunto nei miei confronti un atteggiamento piuttosto passivo, quello di un uomo che si rassegna, che pone domande... si sarebbe potuto credere che era destinato al ruolo di secondo violino... eppure la sua concentrazione, la sua tensione, il suo modo insolito di collocarsi nel proprio destino, la forza demoniaca di questa passione, in lui, che si sentiva emanare dalla sfera sessuale - il che la rendeva talmente tragica e ardente - conferivano un'ampia portata alle sue modeste affermazioni. Ma bastava mettere il naso nel suo libro perché si rivelasse un altro Schulz, completamente diverso, maestoso, dalle frasi pesanti e sontuose che si spiegavano lentamente come la coda affascinante di un pavone, un instancabile creatore di metafore, un poeta estremamemte sensibile alla forma, alla sfumatura, che svolgeva la propria prosa ironicamente barocca come un canto. Tra i compiti artistici che si proponeva, più di uno era nettamente del genere rischioso, ma non finiva mai male. Continuando a frequentarlo, ne individuai due difetti che indebolivano la sua portata: in primo luogo, era troppo poeta ed unicamente poeta, nonostante la sua prosa, gravida di metafore, desse un po' l'impressione di una deviazione di percorso, si sarebbe voluto riindirizzarlo verso la poesia, che era il suo elemento naturale. In secondo luogo, egli era, come tutti i poeti polacchi, impotente - fatto salvo il suo talento per le metafore - era incapace di averla vinta sul mondo, di assimilarlo - aveva elaborato una forma, abissale ma molto stretta, e non sapeva scrivere altro né uscire dalla sua problematica molto limitata.
Gli esseri di questo genere arrivano a grandi realizzazioni quando sono originali. Ma Bruno seguiva le tracce di Kafka, al quale lo univano le sue origini semite e, nonostante si sia mostrato inventivo in più di un punto, è difficile non vedere che il suo universo era stato fecondato anche dalla visione del suo fratello maggiore. È per questa ragione che faccio fatica ad immaginare che le sue opere possano incontrare un successo mondiale, per quanto siano oggi tradotte in lingue straniere e ammirate da più di un lettore eminente in Francia e in Inghilterra.
La differenza essenziale tra lui e me è che, benché altrettanto penetrato dalla forma, aspiravo tuttavia a farla scoppiare, volevo allargare il campo d'azione della mia letteratura per farle abbracciare un numero sempre più grande di fenomeni - mentre lui si chiudeva nella sua forma come in una fortezza o in una prigione.
Non ho mai incontrato nessuno di meno invidioso e di una generosità più magnanima. È evidente che l'invidia è spesso il tratto caratteristico degli scrittori - ma essi sono intelligenti, il che sovrappone una buona dose di di civiltà a queste eventuali selvaticherie, al punto che il più delle volte non si fanno del male ma non alzerebbero nemmeno il mignolo per aiutare un rivale a scalare il Parnaso.
Il superbo disinteresse di Bruno si rivelò in tutto il suo splendore quando fu pubblicata la mia terza opera, Ferdydurke. Il suo primo contatto con il mio nuovo romanzo non fu molto felice.
Gli avevo dato il manoscritto, ancora lontano dall'essere ultimato, durante uno dei suoi passaggi a Varsavia. Qualche giorno dopo, mi dichiarò con dolcezza, ma anche con quella severità o quella acutezza di fondo che non lo abbandonava mai: "Le consiglio di lasciare stare... torni al suo altro genere, quello delle Memorie del tempo dell'immaturità, di cui è brillante maestro... a mio avviso, non è da pubblicare."

Witold Gombrowicz, Souvenirs de Pologne, traduit du polonais par Christophe Jezewski et Dominique Autrand, Christian Bourgois Éditeur, 1984

(*) Informazione sbagliata. È vero che le circostanze della morte di Bruno Schulz sono rimaste a lungo oscure, ma non è mai stato in un campo. Secondo le testimonianze più verosimili, sarebbe stato ucciso da un SS quando, munito di un passaporto falso, stava per lasciare Drohobycz per andare in Austria.
"E nell'anno mille novecento e quarantuno i tedeschi sono entrati a Drohobycz e Bruno era stato costretto a lasciare la sua casa ed era andato a stare in una casa di via Stolarska. Per ordine delle autorità disegnava e dipingeva gigantesche figure sui muri della Scuola d'Equitazione, e catalogava raccolte di libri che i tedeschi confiscavano. Per guadagnarsi da vivere era costretto a fare "l'ebreo di casa" (piccoli lavori di falegnameria, pittura di insegne, ritratti della gente di casa, ecc. ecc.) presso un ufficiale delle SS chiamato Felix Landau.
E questo Felix Landau aveva un nemico - un altro ufficiale delle SS chiamato Karl Günther. E il diciannove di novembre del mille novecento e quarantadue, all'angolo di via Czacky con via Mickiewicz, Karl Günther sparò a Bruno un colpo e poi - così dicono - andò da Landau e gli disse così: "Tu hai ammazzato il mio ebreo e io ora ho ammazzato il tuo"."
David Grossman, Vedi alla voce: amore, traduzione di Gaio Sciloni, Oscar Mondadori, 1990